Per ogni ditta italiana che chiude gli extracomunitari ne aprono due

Il vento della crisi non soffia sulle imprese straniere. Tanto che per ogni ditta italiana che chiude i battenti, ce ne sono altre due con titolare immigrato che invece si iscrivono all'anagrafe dell'Unione piccoli artigiani di Milano e provincia. È l'altra faccia della medaglia di questa recessione che sta mettendo via via in ginocchio non solo la grande industria, ma anche la rete locale delle piccole imprese artigianali. I dati: a fine settembre il bilancio fra chiusure e mancate iscrizioni segnalava un segno negativo per le imprese a gestione italiana con un -1,2 per cento e un positivo +2,5 per cento per quelle con titolare straniero. Una forbice destinata ad allargarsi. «Stiamo elaborando i dati dell'ultimo trimestre del 2008 - anticipa Marco Accornero, presidente dell'Unione artigiani -. I risultati che ci aspettiamo evidenzieranno ancora di più questo divario. Se chiuderemo in positivo sarà solo per la sempre più massiccia presenza di nuove imprese straniere».
Oggi su 74mila ditte artigianali, il 17 per cento è gestita da un extracomunitario. La percentuale di crescita è del 3-4 per cento l'anno. Infatti nel 2006 le ditte straniere regolarmente iscritte all'albo erano il 12 per cento. Un segnale positivo che però alza il velo su quella che è la realtà dei «nostri piccoli artigiani, fatta di sfiducia e stanchezza», dice Accornero. Impietosa l'analisi su questo microcosmo di piccole e medie aziende che «tutti a parole considerano la vera spina dorsale dell'economia italiana, ma che poi nei fatti la crisi, quando c'è, la devono superare da soli, rimboccandosi le maniche e lavorando a testa bassa». «A preoccuparci - continua Accornero - non sono tanto le chiusure che si sono avute tra il 2007 e il 2008, per certi versi in linea con quelle degli anni precedenti ma il forte calo delle nuove iscrizioni tra il 2008 e l' inizio del 2009». In questo contesto si inseriscono le nuove realtà immigrate che a fronte di un locale sentimento di sfiducia e del «preferisco mollare tutto», si buttano su settori che noi abbiamo trascurato. In primis l'edilizia, dove a fronte di 37mila imprese e 90mila addetti, il 45%, praticamente una su due, è gestita da rumeni, albanesi o egiziani. Seguono il settore delle pulizie con un 25% di presenza straniera e quello dell'autotrasporto, dove le aziende di extracomunitari sono già una su 5.
«La crisi scoraggia i giovani a investire e rischiare - dice ancora Accornero -. Non solo. Oggi più che mai la Lombardia paga il mancato ricambio generazionale. Il figlio dell'artigiano che lavorava il legno, probabilmente oggi è un laureato, magari con un lavoro precario, e non prenderà in mano la piccola azienda del padre». L'avvento dell’Expo sembrava aver dato una boccata d'ossigeno a tanti piccoli imprenditori. Ma finanziamenti ancora non se ne vedono e gli appalti sono al di là dal partire: «Ci sono aziende boccheggianti che restano aperte solo nella speranza dell’Expo. Ma se i lavori partiranno nel 2011 per molte di loro potrebbe essere tardi». Completamente diversa la situazione psicologica degli immigrati: arrivano in Italia per lavorare e crisi o no si buttano nelle attività. Rischiano e sempre più trovano terreno sgombro.

Prova ne è anche il numero sempre maggiore di stranieri che negli ultimi mesi si sono rivolti alla cooperativa di garanzia istituita dalla stessa Unione dei piccoli artigiani e che offre sostegno all'accesso di credito. In altre parole, favorisce le garanzie per avvicinarsi ai prestiti delle banche.

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