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Mago Forest: "Far ridere mette ansia: è come tirare un rigore"

Lo showman: "Bisogna spiazzare, facendo sembrare eccezionali cose banali. Ma la paura è non riuscirci"

Mago Forest: "Far ridere mette ansia: è come tirare un rigore"

Michele Foresta è nato nel 1961 a Nicosia. «È in provincia di Enna, la conosce? No? Beh, o ci nasci, o ci devi andare apposta...». Per tutti è il Mago Forest. Gli studi in Sicilia, la Scuola di Mimo a Milano, e poi una carriera nel mondo della comicità iniziata negli anni '80, con Arbore e Frassica a Indietro tutta!, passata per Zelig, Chiambretti, Fazio, spettacoli teatrali (Che cos'ha David Copperfield che io non ho), libri (Come diventare maghi in 15 minuti, con Nino Frassica...), varie presenze a Sanremo (una perfino accanto a Tricarico, per recitare Vita tranquilla) e, soprattutto, inscindibile dall'incontro con la Gialappa's e i numerosi Mai dire...; oggi il Mago Forest è il conduttore imbranato/sbeffeggiato del GialappaShow, il programma della Gialappa's Band con Marco Santin e Giorgio Gherarducci, alla seconda stagione su Tv8 e Sky Uno (ogni lunedì alle 21.30).

Come è stato l'incontro con la Gialappa's?

«È stato un incontro, diciamo... una botta di culo. Siamo insieme dal 2001: neanche i matrimoni sono così lunghi. Oltre al lavoro è nata anche una bella amicizia, anzi, penso che ormai mi chiamino solo perché siamo amici...»

Come funziona il lavoro?

«Il processo creativo è la cosa più bella. Noi comici abbiamo sempre il timore di non fare ridere, che finisca l'ispirazione; e invece è come se, magicamente, esistesse una miniera delle battute: indossi l'elmetto, prendi il piccone e qualcosa trovi... Le battute si alimentano e riproducono come i funghi nel bosco: basta sapere dove cercarli. E poi l'attualità ci regala delle perle».

Nella pratica?

«Dopo ogni registrazione siamo stremati. È un lavoro lunghissimo perché fatto con grande cura, in cui ogni dettaglio della trasmissione è messo per iscritto: abbiamo un copione che sembra mezzo film. Poi raccogliamo il materiale e ci confrontiamo su quello che vogliamo inserire, e si va avanti di fino, per tutta la settimana. Sono un notturno, coi miei autori ci scambiamo mail alle 4 del mattino. Il comico è un lavoro da non prendere sul serio, ma è un lavoro serio».

Si prepara molto?

«Dovrei farmi analizzare da un dottore... A volte, a scuola, studiavo solo per non fare brutta figura, e forse quest'ansia mi è rimasta. Mi piace prepararmi guardando di tutto, libri, giornali, quello che capita. Amo il processo creativo: la fatica è nella preparazione, poi realizzarlo è divertente, e in scena, coi Gialappi, lo portiamo con leggerezza, con un'aria goliardica».

Che altro serve?

«Molte cose vengono naturali, regalate dall'istinto, come quando guidi una macchina. E a volte indosso una maschera, come quando recito il mio personaggio, il presentatore inadeguato, anche se cerco sempre di fare cose vicine a quelle che conosco... E alla fine, se piacerà, non lo so».

Che cosa piace?

«Il problema è proprio che non lo so. L'unico giudice è il pubblico. Però questa incognita, questa precarietà, è anche bello che ci sia».

E a lei che cosa fa ridere?

«L'umorismo è un senso, come l'olfatto, il tatto, la vista: qualcosa di congenito. Molti che non fanno i comici di lavoro mi fanno ridere. O i Simpson: chi fa più ridere di Homer Simpson? O i Jefferson, e poi Ricky Gervais, col suo umorismo nero, surreale, profondo, Bill Murray, i personaggi stralunati...»

E del passato?

«Io sono del '61 e da ragazzino, sulla tv in bianco e nero, c'era Oggi le comiche, alle 13.30, con Renzo Palmer che faceva la voce narrante: lo guardavo sempre. E poi amavo Buster Keaton e Chaplin: ho fatto la Scuola di Mimo perché mi affascinavano quei personaggi muti, che facevano ridere senza parole. E poi Pippo e Mario Santonastaso, che vedevo da Baudo a Domenica In, Cochi e Renato, Jannacci, che mi faceva ridere da morire; e Jango Edwards, un clown fenomenale, che è morto da poco e che mi folgorò al Ciak di Milano».

Il mago come nasce?

«Da bambino, a Nicosia, c'era un mio amico appassionato di magia, Nino Bonelli. Io facevo il mago alla radio, un cialtrone, così ebbi l'idea di fare qualcosa insieme. Copiavo le gag di Mac Ronay, un mago francese famoso negli anni '70, che diceva solo ep, ed era ospite da Mina e Walter Chiari. Poi però ho approfondito, perché per fare la parodia di qualcosa devi conoscerla bene».

Quindi è un bravo mago?

«Diciamo che mi piace fare il non-mago ma, in realtà, conosco bene le tecniche dei prestigiatori. Anche da Fazio sembra che sbagli il numero, ma poi il gioco riesce, alla fine...».

Fa cose banali che fanno ridere. Come ci riesce?

«È vero. Il comico cerca di trovare l'eccezionale nella banalità, e di far sembrare banale una cosa eccezionale. Il nostro mestiere è celebrare il paradosso, spiazzare. È come tirare un calcio di rigore».

Che sembra facile...

«Eh, ma devi spiazzare: far sì che il pubblico vada da una parte e infilare la battuta dall'altra. Che poi i Gialappi sono geniali: io ho sempre in mano tantissimi fogli e copioni e loro mai un foglietto, tranne quelli del Fantacalcio. Beati loro».

È uno che dissacra?

«Siamo ragazzini che giocano a fare la tv... Il comico deve un po' dissacrare, come il giullare a corte, che rischia la testa, e prende in giro chi è al potere: ne ascoltiamo tante dai politici, loro possono anche ascoltare qualche sfottò. A noi del resto piace sfottere, ma non vogliamo mai offendere».

Ci gira intorno?

«I miei autori mi dicono: sei un allusionista. La prendo sempre alla larga...»

Ha l'ansia da prestazione?

«Perenne. Il comico deve essere all'altezza: è questo che ci fa impazzire».

E i travestimenti?

«È una cosa che mi porto dagli anni di Mai dire...: entrare con una sorpresa che nessuno si aspetta. Un vestito da Ken, un ciuffo lungo tre metri...»

Il suo maestro?

«Quando papà mi portava a fare i lavori in campagna appendeva una radio verde sull'albero e ascoltavamo Alto gradimento; e poi a vent'anni sono entrato nel gruppo di Indietro tutta! con Arbore. Un sogno. Ho avuto l'imprinting dal vivo: da Arbore la leggerezza, il suo modo di essere goliardici; da Frassica una precisione matematica nelle cose che fa. Fare ridere dopo 40 anni in trincea significa grande qualità».

Che cosa le fa paura?

«Il mio sogno ricorrente è che, mentre la gente ride, all'improvviso inizi a uscire dal teatro. Un incubo con cui convivo. Penso sia normale, come per uno scrittore, o un architetto: dopo il Bosco verticale mi verrà un'altra idea?»

E poi?

«Poi viene. Non so che cosa farò nella prossima puntata, ma il cervello qualcosa proporrà. Perché è un bastardo, che nasconde le cose e te le tira fuori all'ultimo, per farti spaventare: è per questo che, pur vivendo nello stesso corpo, io e il mio cervello ci frequentiamo pochissimo..

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