Dopo la giusta overdose d’amor patrio per il compleanno dell’Italia lasciatemi ricordare il canto del cigno del Regno del sud. Come oggi, il 20 marzo di 150 anni fa, finì il sud come nazione, dopo sette secoli di vita tra luci e ombre. Finì nobilmente, a Civitella del Tronto, che era la Bolzano del sud, il suo estremo confine. Un assedio durato vari mesi delle truppe sardo-piemontesi, generali e soldati cambiati e raddoppiati per espugnare la fortezza borbonica.
Resistenza strenua, uno contro dieci. Un terribile bombardamento; solo negli ultimi due giorni 8mila proiettili scagliati da 20 cannoni. Capitolata Gaeta, il giovane Re Franceschiello esorta i suoi fedeli ad arrendersi, l’Italia unita già proclamata, le potenze europee non riconoscono lo Stato italiano se prima non cade il regno borbonico. Così a Civitella si consumò con disperata dignità il regno delle due Sicilie, sopravvissuto tre interminabili giorni allo Stato unitario.
A differenza della Padania, il regno del Sud è esistito davvero, e per secoli.
Sono stato a Civitella del Tronto l’altro giorno a ricordare l’Unità d’Italia e il luogo scelto dalla regione Abruzzo mi è parso appropriato per celebrare l’Italia ma anche per altre due ragioni, una civile e una sentimentale. La prima è unificare davvero l’Italia includendo anche coloro che in buona fede, rischiando la vita, difesero l’onore di un altro ma non meno nobile amor patrio. Saremo una nazione unita e civile quando riusciremo ad essere inclusivi delle memorie diverse e riconosceremo dignità alle storie avverse.
La seconda motivazione è il rispetto - e forse il debole - per i vinti, che nutro da sempre. La nobiltà della sconfitta, il fascino dei perdenti, il bianco sole dei vinti, la bellezza dei congedi eroici e la poesia delle difese disperate, la nostalgia dei cieli e delle terre perduti. Come dicevano gli hidalgos venuti a sud, la sconfitta è il blasone dell’anima ben nata.
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