Olanda, niente sussidi alle donne che vogliono lavorare col burqa

Il provvedimento adottato dalle autorità comunali di Utrecht

Olanda, niente sussidi alle donne che vogliono lavorare col burqa

Elo Foti

Si dice che il volto sia lo specchio dell’anima. Può darsi. È invece una certezza che il volto possa essere una maschera, dietro la quale si celano anche pensieri demoniaci. Così è sempre stato è così sarà sempre. Ma dopo l’11 settembre, dopo l’offensiva terroristica lanciata contro l’Occidente, attacco che vede coinvolte pure donne musulmane, ciò che una volta era accettabile nel mondo extra-islamico, oggi lo è meno. Deve essere questa la ragione per cui le autorità municipali di Utrecht, la città olandese sede del Primate dei Paesi Bassi, hanno deciso nei giorni scorsi di porre un ultimatum alle immigrate che indossano il burqa: «Perderanno i sussidi comunali se non troverete un lavoro a causa del rifiuto di rinunciare al tradizionale abito che vi copre interamente». Lo spunto per il provvedimento è stata la decisione di quattro signore (la cui cittadinanza non è stata resa nota) che, al momento dell’assunzione, avevano comunicato la loro intenzione di presentarsi a colleghi e clienti senza mostrare il viso.
Utrecht è la prima città olandese ad adottare una misura del genere. Le autorità comunali hanno fatto sapere che la loro decisione non viola le norme sui rapporti di lavoro e sull’assistenza sociale. Sostengono inoltre di essere in linea con i dettami della Commissione per le pari opportunità, la quale aveva già dato ragione a imprenditori che si erano opposti all’uso del burqa da parte di alcune dipendenti. Le quattro donne che hanno scatenato il caso avevano detto no anche alla proposta di guadagnarsi da vivere indossando un fazzoletto che coprisse la testa. O il burqa o niente. Si sentivano economicamente salvaguardate perché, pur restando disoccupate, avrebbero potuto continuare a contare sul sussidio sociale, il cui ammontare in Olanda è relativamente alto. Ma gli amministratori pubblici questa volta hanno chiuso i cordoni della borsa.
La stragrande maggioranza degli olandesi ha reagito positivamente alla presa di posizione del comune di Utrecht. Hanno provato a protestare gli esponenti locali del movimento della Sinistra Verde. Ritengono che l’ultimatum abbia una sola conseguenza: accentuare le difficoltà di inserimento delle musulmane più integraliste. La protesta ha avuto un’eco favorevole pressoché nulla. La decisione ha invece avuto il plauso della signora Rita Verdonk, ministro dell’Immigrazione e dell’Integrazione. Il ministro sta valutando la possibilità di vietare l’accesso in alcuni luoghi pubblici a chi indossi il burqa e, come da lei stessa, ha costituito un gruppo di esperti con l’incarico di studiarne l’attuazione. La signora Verdonk appartiene al partito liberale Vvd, componente della coalizione di governo presieduto dal cristiano-democratico Jan Pieter Balkenende. Una delle più note deputate del Vvd è la giovane musulmana Ayan Hirsi Alì, immigrata nata in Somalia, divenuta famosa in tutto il mondo per avere scritto la sceneggiatura del cortometraggio Submission diretto dal regista olandese Teo van Gogh, assassinato il 2 novembre dell’anno scorso ad Amsterdam da un fanatico islamico di origine marocchina.
La pellicola denuncia lo stato di sottomissione della donna nel mondo musulmano e mostra, sul corpo di una ragazza, passaggi del Corano che sanciscono l’inferiorità dell’altra metà del cielo. Per questo filmato, definito «blasfemo», sia Van Gogh sia la Alì sono stati condannati a morte nel nome di Allah. Il regista ha trovato la morte, accoltellato, mentre in bicicletta pedalava non lontano dal museo in cui sono esposti i quadri del suo avo Vincent. La deputata vive protetta in località segrete.


Da Utrecht arriva un’altra notizia che riguarda le donne musulmane: sempre più giovani marocchine di etnia berbera chiedono che vengano cancellati i tatuaggi incisi sulle loro fronti secondo una tradizione antecedente Maometto. Volti che cambiano. Nel segno dell’integrazione.

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