Di certo sa qualcosa di più. Di certo sogna che si avveri. Sarebbe un colpo da maestro. Un colpo da grande pacificatore. Un colpo capace di risollevarlo dagli abissi degli indici di gradimento e di liberarlo dalle insidiose inchieste sulla guerra di mezza estate. Pochi mesi dopo quello sfortunato conflitto e subito dopo larchiviazione dei grandi piani di ritiro dalla Cisgiordania Ehud Olmert andò, non a caso, ad incontrare in gran segreto un esponente di punta della dinastia saudita. Erano i prodromi di quanto Olmert spera si avveri dopo il summit della Lega Araba chiusosi a Riad giovedì scorso. Poco importa che dalle dichiarazioni ufficiali non traspaia alcuna dichiarazione incoraggiante per Israele. Il primo ministro israeliano Ehud Olmert , reduce lo scorso autunno da uno o più incontri segreti con le delegazioni saudite, confida ancora nella sapiente regia di Riad per arrivare «a un cambiamento rivoluzionario». Il premier confessa fiducia e speranze in unintervista pubblicata ieri dal quotidiano israeliano Haaretz. «Sta emergendo - spiega il primo ministro delineando lo scenario creatosi nel mondo arabo grazie allazione dei sauditi - un blocco di Stati convinti di aver sbagliato pensando ad Israele come al più grande problema mondiale... e questo è veramente un cambiamento rivoluzionario».
Partendo da queste premesse Olmert si dice pronto a discutere e a trattare con i sauditi e con chiunque condivida il loro punto di vista. «Ci sono delle idee interessanti - dichiara alludendo alla proposta di pace approvata giovedì dalla Lega - per questo siamo pronti a discutere e a confrontarci con i sauditi». Anche il diritto al ritorno dei profughi e linviolabilità dei confini del 67, i due argomenti considerati per ora inaccettabili da Israele, possono secondo Olmert venir affrontati e discussi . «Il summit di Riad - afferma convinto il premier - è sicuramente stato importante. Non ci sentiamo delusi... vogliono che ci ritiriamo sui confini del 67 e pretendono il diritto dei profughi al ritorno. Questo non ci sorprende, capiamo che non possa andare diversamente. Il contenuto è senza dubbio importante, ma è anche essenziale creare latmosfera, la posizione e lindirizzo del dibattito».
Un po per scelta, un po per necessità Ehud Olmert accetta, insomma, di stare al gioco di Riad. Finge di considerare una scelta di facciata le asprezze di un summit che non ha, contrariamente alle previsioni, affrontato i temi del negoziato con Israele e si dice certo delle buone intenzioni saudite. «LArabia Saudita - spiega - è il paese che alla fine determinerà la capacità del mondo arabo di raggiungere un compromesso con Israele».
La totale apertura di Olmert dura comunque solo poche ore. A farlo tornare con i piedi sulla terra bastano le domande dei giornalisti del Jerusalem Post, che dopo aver visto lintervista concessa al quotidiano rivale gli chiedono se sia pronto a una retromarcia anche sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Di fronte allinterrogativo su quel punto chiave, ovvero sul possibile ritorno dentro i confini dello Stato ebraico dei sopravvissuti allesodo del 48 e dei milioni di loro discendenti, Olmert deve per forza esibire la tradizionale fermezza. «No risponde - non accetterò mai di riconoscere alcuna responsabilità dIsraele per il problema dei profughi, è una questione morale del più alto livello e non possiamo assumerci alcuna responsabilità». Ma anche dopo questo ritorno alla fermezza Olmert non tralascia di elogiare lazione del sovrano saudita re Abdullah definendolo un leader «esemplare». «Liniziativa saudita, da lui iniziata quando era ancora un principe ereditario, è assai interessante... indica il senso di grande responsabilità che lArabia Saudita è pronta a trasferire nella politica mediorientale».
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