Politica

Olmert: «Con la Siria non si tratta» E molti militari ora fanno autocritica

Il premier visita i paesi del nord colpiti da Hezbollah e viene contestato

Nicola Greco

Trattare con la Siria? Non se ne parla nemmeno: è «il membro più aggressivo dell’Asse del male». La guerra in Libano? In parte è colpa dei governi precedenti, che non hanno fermato il riarmo di Hezbollah. Sotto attacco in patria e all’estero per la non brillante conduzione del conflitto in Libano, il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha preso ieri una posizione netta contro chi, nel suo stesso governo, suggerisce possibili aperture verso i nemici del suo Paese.
Rispondendo al quotidiano Haaretz, che domenica ventilava l’avvio di negoziati con Damasco, Olmert è stato molto chiaro. «Sono l’ultima persona a voler negoziare con la Siria», ha detto in una conferenza stampa tenuta a Maghar, città nel nord del Paese colpita dai missili di Hezbollah. E ha aggiunto: «Non facciamoci trascinare da false speranze. Quando la Siria smetterà di sostenere il terrorismo, di fornire missili alle organizzazioni terroristiche, allora saremo felici di aprire un negoziato». Quanto ai suoi predecessori, parte della responsabilità della guerra è da attribuire al loro immobilismo verso il riarmo di Hezbollah. «Si sapeva da anni - ha detto Olmert - che c’era un grosso pericolo. Ma per qualche ragione la nostra percezione non è stata tradotta in azione, come invece abbiamo fatto noi». L’offensiva contro Hezbollah, ha concluso, è stata «una sveglia che ci consente di difenderci meglio».
Le indicazioni secondo cui Israele dovrebbe trattare con i suoi nemici erano venute da componenti del suo stesso gabinetto. Nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Amir Peretz, aveva auspicato la ripresa di negoziati con palestinesi e libanesi, invitando a preparare il terreno anche per un dialogo con la Siria. E analogo suggerimento era venuto dal ministro degli Esteri, Tzipi Livni.
Ieri, poi il ministro della Sicurezza, Avi Dichter, si è spinto ancora più lontano, pronunciandosi addirittura per uno scambio «terra in cambio di pace» con Damasco. Dichter, ex capo dei servizi segreti interni dello Shin Bet, si è detto favorevole a restituire alla Siria le alture del Golan, occupate da Israele durante la Guerra dei sei giorni nel 1967. Trattative in questo senso con Damasco si conclusero con un nulla di fatto nel 2000.
Scettico anche il vicepremier Shimon Peres, secondo il quale non è questo il momento di parlare con la Siria. «Abbiamo il fardello del Libano, abbiamo i negoziati con i palestinesi. Non credo che un Paese possa affrontare tante questioni nello stesso tempo», ha detto Peres alla radio.
Sono invece possibili, ha precisato Olmert durante una visita a Kyriat Shmona, trattative con Beirut. «Se il primo ministro libanese Fouad Siniora continuerà i suoi sforzi», i negoziati con Beirut potranno portare alla normalizzazione delle relazioni col Libano.
In tutto il Paese infuria intanto il dibattito sulla conduzione della guerra. Se domenica Olmert aveva annunciato la costituzione di una commissione d’inchiesta «affinché Israele possa trarre una lezione dalla crisi con il Libano», ieri ha fatto una mezza marcia indietro: secondo Haaretz, ora starebbe pensando a un’inchiesta governativa, con componenti scelti dal suo governo.
E le voci di dissenso si moltiplicano in tutto il Paese. Ieri 200 riservisti hanno inscenato a Gerusalemme, vicino all’ufficio di Olmert, una manifestazione di protesta contro le autorità politiche e militari, chiedendo le dimissioni del premier. E gli stessi militari, con dichiarazioni senza precedenti, cominciano a fare autocritica per il modo in cui hanno condotto le operazioni.

Il più spietato è stato il colonnello Yossi Hayman, comandante di un reparto di fanteria, che ha parlato di «ignoranza militare e incompetenza», e ha accusato l’esercito israeliano, a cominciare da se stesso, di «arroganza».

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