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Oltregiogo, paesaggio dell’anima avviato a divenire centro logistico

Oltregiogo, paesaggio dell’anima avviato a divenire centro logistico

L'Oltregiogo. Questa la definizione storica del territorio a cavallo degli Appennini liguri-piemontesi. Una mosaico diviso da diverse province, regioni e addirittura diocesi, ma con una memoria storica comune. Ora questa zona è divenuta oggetto d'indagine dell'ultimo libro dello studioso Franco Monteverde, che uscirà a settembre per De Ferrari e che s'intitola «L'Oltregiogo: una terra strategica per l'Italia».
Monteverde, perché "strategica"?
Gli esempi storici sono molti. Nel 218 a.C. Annibale passate le Alpi rimase praticamente senza esercito. Si fermò nell'Oltregiogo e capì che lì poteva con calma allearsi con alcune tribù liguri e gallo-celte. Fu così che sconfisse i Romani, sulle rive del Ticino prima e del Trebbia poi. Oppure, per parlare di un'epoca più vicina, basti ricordare l'esercito britannico, che nella Grande Guerra, dopo Caporetto stabilì ad Arquata Scrivia il proprio quartier generale e riorganizzò le truppe.
E ora, secondo il suo libro, potrebbe essere l'economia italiana a trarre vantaggio da questo territorio.
L'Italia ha bisogno assoluto di un centro logistico all'avanguardia, di una zona la cui occupazione principale sia movimentare le merci presto, bene e con criteri moderni. L'Oltregiogo, naturalmente, sarebbe l'ideale, e se riuscisse ad affiancarsi come una sorta di "porto di terra" ai tre porti liguri, offrirebbe alle piccole e medie imprese italiane un supporto straordinario, perché le inserirebbe in una rete in grado di proporre i loro prodotti a tutto il mondo a prezzi competitivi. Un sistema del genere riuscirebbe anche a far tornare l'Italia una grande potenza marinara.
Un progetto ambizioso. Ma per iniziare a metterlo in atto cosa occorre?
Unità culturale. Tutto l'Oltregiogo dovrebbe organizzarsi in modo da insegnare ai suoi giovani i mestieri e le professioni che servono in una zona logistica. Offrire servizi di alto livello, questo l'obiettivo, e dovrà diventare parte della nostra cultura.
Ma quanta unità culturale potrà esserci in un territorio che, giocoforza, da metà Ottocento è un po' alessandrino e un po' ligure, e da quando sono nate le Regioni è mezzo ligure e mezzo piemontese?
Non è facile. Le influenze genovesi e torinesi si sono sempre fatte sentire, nel corso dei secoli. E le differenze tra le due città non sono da poco: più verticistica Torino, più liberale Genova. A Genova un gruppo di contadini vinse una causa contro la nobile famiglia degli Spinola per una questione di tasse calcolate male, cosa inimmaginabile altrove.
Varrebbe dunque la pena rimescolare i confini regionali?
No. Non è il caso di riscoprire sentimenti revanchisti ormai sepolti, col solo risultato di creare tensioni poco utili. Il progetto di un Oltregiogo protagonista non deve allontanarsi dal piano prettamente culturale. Anche se qualche difficoltà la si potrà incontrare: piccole gelosie, un po' di campanilismo. Ancora oggi esistono comuni del basso Piemonte che tendono ad isolarsi, completamente sordi ad ogni proposta di collaborazione culturale.


Ma in definitiva, ciò che rimane alla gente dell'Oltregiogo è qualcosa che va al di là di tutte le considerazioni politiche ed economiche: una cultura, appunto, una tradizione. Come si legge nel libro: «un nome collettivo, una storia condivisa, un sentimento di solidarietà, un sito amato come un paesaggio dell'anima in cui si radica una comunità».

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