Omaggio all’architetto con l’ombrello

«In fondo se mi chiedete cosa vorrei avere disegnato, risponderei: l’ombrello, oggetto straordinario, tecnologicamente complicato, risolve il problema di non bagnarsi e la fa in barba al Padreterno». Parole di Achille Castiglioni che ne aveva sempre uno con sé di gran classe, con cui accompagnava al suo impermeabile bianco. Al grande designer, la De Padova di corso Venezia, dedica la mostra, aperta fino al 24 aprile, «Effetto Castiglioni». Per raccontare le ultime tendenze, ma anche le storie dei protagonisti della progettazione. E chi più di Achille Castiglioni che con Vico Magistretti hanno segnato la storia del design facendo di De Padova il loro quartiere generale? Su ripiani e appesi a cavalletti di acciaio e illuminati dall’alto, ventitré modellini sembrano «fluttuare nell’aria». Si tratta delle «maquette» che Castiglioni preparava quando doveva realizzare un progetto. Poi video, disegni e un filmato nel quale Castiglioni si racconta, racconta la filosofia del costruire, le sue lezioni, perché i suoi progetti prendevano vita al Politecnico quando insegnava.
La curatrice della mostra, Didi Gnocchi, ha voluto un intero piano su cui fare sfilare una maglia semi trasparente con tutti i progetti e gli schizzi del celebre architetto. Il figlio di Maddalena De Padova, Luca, oggi alla guida dell’azienda con la sorella Valeria dice: «L’esposizione è nata dall’idea di esporre mobili, sculture, elementi di grafica, ma anche allestimenti preparati per il negozio. Abbiamo voluto che si esponesse tutto, dai disegni preparatori, agli schizzi, fino ai plastici e ai progetti».
Castiglioni ha lasciato in eredità alla Facoltà dove insegnava un muster di design ancora oggi riconosciuto. Troviamo in mostra anche tre racconti filmati, la storia di Giannino Castiglioni, il padre e l’influenza artistica sui tre figli. Non mancano anche le testimonianze dei suoi allievi, Migliore, Servetto, Laviani e Cavaglià. Racconta la figlia Giovanna Castiglioni: «Sono contenta che grazie a un accordo con la Triennale lo studio di mio papà in Piazza Castello 27 (telefono 02/8053606) sia diventato museo. Ogni persona può toccare i pezzi, sapere come sono nati, la tecnica. Oggi che De Padova ha voluto dedicare una vera e propria mostra in occasione del Salone del Mobile a mio padre, vedo con stupore che la sua filosofia è ancora compresa dalle nuove generazioni e ancora oggi il suo lavoro è considerato. Castiglioni ha lavorato anche per la Eni, Agip, B-Ticino, importante la sua collaborazione con Gardella e Munari».
Tra i pezzi più noti, il modellino della Casa del Fascio realizzato per un esame al Politecnico nel 1940, la tensostruttura del 1967 divenuta poi Padiglione della Rai e poi ancora una valigetta di legno piena di cartoni con disegni e modellini: una soluzione per quattro chiese parrocchiali «Domus Ecclesias». Non mancano anche pezzi di design come la lampada ad arco in acciaio del 1962 per Flos, il radiofonografo del 1965 per Brionvega, lo sgabello Mezzadro del 1957 per Zanotta. La lampada «Gibigiana» si rifà proprio al gioco di specchi dei bambini. Castiglioni venne assecondato da importanti imprenditori come Dino Gavina, Cesare Cassina, Sergio Gandini, Aurelio Zanotta. Si possono ammirare le foto dello scultore Giannino Castiglioni padre di Achille durante la lavorazione di una delle porte del Duomo nel 1936, Achille negli anni Settanta con Maddalena De Padova all’inaugurazione dello show room: fu proprio dal 1970 che gli venne affidato l’incarico di allestire le vetrine e il percorso interno dello spazio più ricercato dagli architetti di Milano, gli creò appositamente un look borghese. Ci sono anche immagini che ritraggono i fratelli Livio e Pier Giacomo lavorare con Achille nel 1962 per la costruzione di tre edifici annessi. Infine lo scatto di Loenardo Vecchiarelli a Castiglioni nel 1997, cinque anni prima di morire.

Montatura degli occhiali, larga, in metallo chiaro e non nera con lenti bifocali, camicia a quadretti, cravatta sottilissima e giacca comoda, segno distintivo di una generazione di progettisti, abituati a stare in studio con il camice bianco.

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