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Omicidio Hariri, le indagini inchiodano Assad

Grande preoccupazione a Damasco, e cresce il timore di attentati contro alte personalità libanesi ostili alla Siria. Continuano gli interrogatori dei quattro arrestati eccellenti

Roberto Fabbri

Sarebbero «schiaccianti» le prove a disposizione del capo della Commissione d’inchiesta dell’Onu, il tedesco Detlev Mehlis, contro i tre ex responsabili dei servizi segreti libanesi e dell’attuale capo della guardia presidenziale in relazione all’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, compiuto con un impressionante attentato lo scorso 14 febbraio a Beirut. Le indagini proseguono e nelle acque antistanti il tratto del lungomare dove Hariri fu investito e ucciso con altre venti persone da una potentissima esplosione sommozzatori della protezione civile libanese hanno rinvenuto, su indicazione degli investigatori dell’Onu, rottami di un furgone e resti umani.
Il giornale libanese An Nahar, citando fonti vicine agli inquirenti, scrive che Mehlis avrebbe ottenuto le informazioni decisive da alcuni ufficiali siriani che si sono rifugiati in un imprecisato Paese europeo, che sarebbe, a quanto risulta, la Francia. Così si spiegherebbe la missione di tre collaboratori di Mehlis - un turco, un romeno e un filippino - a Parigi. E mentre continuano le perquisizioni degli appartamenti di proprietà degli alti ufficiali arrestati martedì (Mehlis punta a scoprire dove è stato pianificato l’attentato fatale a Hariri), il quotidiano aggiunge che sono imminenti nuovi fermi, «anche di persone straniere».
Logico che il riferimento sia alla Siria, fortemente sospettata di aver ordinato l’eliminazione di Hariri. Il sito israeliano Debkafile sostiene che i familiari di Hariri, partiti per Parigi nel fondato timore per la propria incolumità, avrebbero fornito ai servizi segreti francesi prove sufficienti per un mandato di cattura internazionale sia per il presidente libanese Emile Lahoud sia per quello siriano Beshar el Assad. Secondo Debkafile questi sviluppi starebbero provocando grande agitazione a Damasco.
Vi è il fondato timore che il regime siriano scelga ora la strada della violenza. Non a caso sono sempre più numerose le personalità libanesi che in questi giorni abbandonano Beirut per l’estero. Figure di primissimo piano come il leader druso Walid Jumblatt e Saad Hariri, primogenito dell’ex premier assassinato, si trovano a Parigi: «non in vacanza», come ha precisato Hariri, mentre Jumblatt ha detto assai esplicitamente che «è cominciato il conto alla rovescia» e che «altre teste importanti cadranno in Libano e all’estero».
Lo stesso patriarca cattolico-maronita Nasrallah Sfeir ha raccolto l’invito a trattenersi nella sua residenza estiva di Dimane, nel nord del Libano, più sicura rispetto alla sede del Patriarcato che si trova sulle colline di Beirut. Debkafile afferma infatti che agenti siriani e attivisti di Hamas starebbero distribuendo armi in vista di una possibile offensiva musulmana.
La situazione libanese accende preoccupazioni nelle più importanti stanze dei bottoni del mondo. Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, ha interrotto le ferie per andare a discutere con Terje Larsen, l’inviato dell’Onu in Medio Oriente, degli sviluppi dell’inchiesta Hariri. Contemporaneamente Javier Solana, alto rappresentante Ue per la politica estera attualmente nella regione, ha cancellato un viaggio a Beirut già in scaletta.
I quattro arrestati eccellenti di martedì, intanto, restano in carcere e continuano i loro interrogatori.

Al momento sono indicati come «sospetti» per l’assassinio di Hariri, ma il giudice Elias Eid, che in una caserma della polizia incalza con le sue domande l’ex capo della sicurezza generale Jamil Sayeed, l’ex numero uno della polizia Ali Haji, l’ex responsabile dell’intelligence militare Raymond Azar e l’attuale comandante della guardia del presidente Lahoud, Mustafa Hamdan, punta a convalidare i loro arresti.

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