Gli onorevoli non si tagliano la paga

I deputati bloccano la norma del governo che riduce le loro indennità: "La decisione spetta a noi". Fini: "I nostri compensi sono di competenza esclusiva della Camera. Decreto scritto male"

Gli onorevoli non si tagliano la paga

Roma - Bisogna fare in fretta, ripetono i tec­nici e i politici, il governo e il parlamento, il presidente della Repubblica e il presiden­te del consiglio. La nave sta affondando, le nuove misure e i sacrifici salveranno l’Ita­lia a patto di accelerare. Si deve andare di corsa, il tempo stringe, le borse crollano, lo spread s’innalza, la morsa della crisi ci distruggerà tutti, la catastrofe finanziaria ci trascinerà nel gorgo della povertà. E in­vece praticamente tutto il parlamento sta lavorando a un emendamento di frenata, a una norma per rallentare, aspettare, ri­flettere. La norma su cui si sta esercitando un simile lavorio di più forze politiche per dilazionare i tempi è nientemeno che il ta­glio degli stipendi dei parlamentari.

Su questo sì, non c’è urgenza, festina len­te , dicevano i latini. Il resto si può bruciare alla velocità della disperazione, su questo taglio invece, è necessario procedere con calma. La motivazione è cinicamente tec­nica. Gianfranco Fini lo chiama «un erro­re » nella manovra. È infatti il presidente della Camera ad appoggiare lo sforzo par­lamentare per rallentare la ghigliottina sul­le indennità degli onorevoli.

Difficile però che si tratti di un errore, perché non si compone di una parola o di una piccola riga, possibile refuso, il com­ma 7 dell’articolo 23 della manovra del go­verno, dove si prevede che se l’apposita commissione Istat già nominata dall’ex ministro Tremonti non concluderà i risul­tati d­ell’adeguamento degli stipendi parla­mentari ai parametri europei entro il 31 di­cembre, il governo potrà procedere con «un apposito provvedimento d’urgenza». La commissione, guidata dal presidente Enrico Giovannini, deve limare le indenni­tà dei nostri eletti alla media delle Nazioni Ue. Molto difficilmente concluderà però i suoi lavori entro la fine dell’anno. L’Istat ha infatti fatto richiesta di una serie di dati a molti Paesi tra cui Germania, Francia e Gran Bretagna. Non tutte le cifre sono arri­vate, forse perché i Paesi in questione in questo momento hanno ben altro a cui pensare, Italia compresa, che non le me­die matematiche comparate degli stipen­di meravigliosi degli eletti. A questo punto sarebbe scontata quindi nei primi giorni di gennaio la firma del governo a un decre­to lampo taglia-indennità.

Ecco perché più forze politiche si stan­no adoperando per cambiare questa nor­ma, con il sostegno appunto di Fini, allo scopo di evitare il decreto interventista di Monti e ministri: «Il punto di fondo- sotto­linea Pier Paolo Baretta (Pd), relatore del­la manovra- è che non può essere il gover­no a recepire i risultati della commissione ma deve essere il Parlamento». Motivazio­ne legittima dal punto di vista formale, ma non in tempi di vacche magrissime. Nessu­no però in parlamento grida allo scandalo, aggiunge anzi Fini: «Nel decreto del gover­no la norma è stata scritta male, nel senso che non è possibile intervenire per decre­to nell’ambito di questioni che sono di competenza esclusiva delle Camere». Il re­sto del Paese è vessato, ma sulla Casta deci­de la Casta.

Naturalmente tutti si augurano che i tempi siano brevi, che la commissione Istat relazioni presto: «La commissione terminerà i lavori nel più breve tempo pos­sibile, mi auguro che lo faccia nelle prossi­me settimane», sottolinea Fini. Anche il Pdl è d’accordo, pur auspicando velocità: «Probabilmente - spiega il vicecapogrup­po Massimo Corsaro - la commissione non ce la farà entro i termini stabiliti e quin­di gli daremo qualche mese in più ».Corsa­ro tiene a precisare che l’emendamento al­la manovra «non sarà un rinvio», perché nel momento in cui la commissione Gio­vannini consegnerà i risultati sulle medie, le Camere avranno «30 giorni di tempo» per procedere ai tagli delle indennità. E l’ex ministro Mariastella Gelmini aggiun­ge che «ormai anche tra i parlamentari c’è ampia condivisione sulla necessità di equi­parare gli stipendi dei parlamentari italia­ni a quelli dei colleghi europei. Non è un rinvio, questo taglio ci sarà».

Il via alle riduzioni degli stipendi dei par­lamentari l’hanno sempre dato le Came­re, con gli uffici di presidenza. A Monteci­torio è successo nel 2006, nel 2007 e nel 2010. Tagli che hanno riguardato non sem­pre la parte più importante dello stipen­dio, quella che ha determinato i vitalizi, ov­vero l’indennità (ora pari a 5.

246,97 euro mensili netti) ma più che altro la diaria (3503,11), le spese di soggiorno e telefoni­che per intendersi, oppure la voce del for­fait per il rapporto con gli elettori (altri 3.690 euro netti al mese). Nel 2007 in realtà non fu decisa una riduzione, ma una so­spensione dell’adeguamento retributivo. In quegli anni però la crisi economica non era ancora esplosa con la violenza di que­sti mesi.

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