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Onu, l’Iran torna al dialogo sul nucleare

«Ma bisogna eliminare tutte le armi nucleari in Medio Oriente»

Gian Micalessin

Forse non è una bottiglia mezza vuota. Forse bisogna essere ottimisti e vedere il summit delle Nazioni Unite, chiuso ieri a New York, come un primo passo sulla strada delle riforme. A dir il vero gli unici tre successi sembrano l'istituzione di una Commissione per la Costruzione della Pace, incaricata d'assistere politicamente e finanziariamente i paesi usciti da un conflitto, la clausola che stabilisce l'obbligo dell'Onu ad «intervenire» di fronte al rischio di genocidio o crimini di guerra e la creazione di quel «Fondo per la democrazia», sostenuto dagli Stati Uniti con finanziamenti per 10 milioni di dollari al quale ha già aderito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Le interminabili discussioni su un tema cruciale come la proliferazione e il terrorismo nucleare, non hanno invece portato ad alcun risultato. Un nulla di fatto definito «disastroso» dallo stesso segretario generale Kofi Annan.
In questo clima l'attesa per l'intervento del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, salito sul palco dopo le 21 italiane di ieri, diventa il simbolo dell'insuccesso onusiano. Di fronte all'insipienza di un summit incapace di fissare regole per fermare le armi nucleari ( «siamo all'azzardo diplomatico», sentenzia Annan) il sospettato numero uno nel campo della proliferazione si trasforma da accusato in mattatore. «Non possiamo accettare di dipendere dall'estero per il nostro diritto all'energia nucleare e allo sviluppo tecnologico: troppe volte abbiamo visto le forniture di combustibile nucleare bloccate per ragioni politiche», dice Ahmadinejad accusando l'America e i suoi alleati di condurre una politica d' «apartheid nucleare». E così, mentre Kofi Annan si dispera per «i rischi di proliferazione e un terrorismo di natura catastrofica», il presidente iraniano gli ruba la platea e propone di trasformare i progetti nucleari da minaccia in collaborazione commerciale invitando Paesi e aziende internazionali a produrre combustibile nucleare sul suolo iraniano sotto il controllo dell'Agenzia per l'Energia Atomica. E si fa portavoce di un'iniziativa per l'eliminazione delle armi nucleari da tutto il Medioriente.
L'unica a far la voce dura è il segretario di Stato Condoleezza Rice che invita Ahmadinejad a riaprire la trattativa con l'Europa, sollecitando fermezza in caso di fallimento dei negoziati. La sfida iraniana, secondo la Rice, diventerà «il banco di prova» dell'efficacia dell'Onu se si esauriranno le vie diplomatiche e la parola passerà al Consiglio di Sicurezza. Ma la Rice affronta anche il contenzioso sull'allargamento del Consiglio di Sicurezza spiegando che gli Stati Uniti sono pronti a favorire il Giappone e ad incrementare la presenza dei paesi in via di sviluppo. Una mazzata a India, Brasile e Germania, membri con Tokyo di quella lobby dei «quattro grandi» che punta a quattro seggi tutti e solo per sé.
Gli altri mezzi successi del summit non sono certo eclatanti. Le interminabili discussioni sul terrorismo si concludono con una generica condanna di «tutte le sue forme e manifestazioni, chiunque ne sia il responsabile, ovunque e per qualsiasi motivo». Mancando però l'accordo su una definizione comune di terrorismo, l'oggetto della condanna resta vago.

Un mezzo aborto anche l'istituzione del Consiglio per i Diritti Umani, destinato a sostituire la screditata Commissione per i Diritti umani.

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