Opera, rogo al campo rom Una decina gli indagati

Gli inquirenti: i responsabili farebbero parte dell’estrema destra

Opera, rogo al campo rom Una decina gli indagati

Il cerchio si stringe. Avranno presto un nome e un volto i responsabili del rogo che il 21 dicembre scorso distrusse la tendopoli allestita dalla protezione civile a Opera per accogliere provvisoriamente i 77 rom provenienti dall’insediamento di via Ripamonti. Nei prossimi giorni, i carabinieri del Nucleo operativo di Corsico e quelli del Nucleo informativo di Milano consegneranno al pubblico ministero Laura Barbaini i risultati delle indagini fin qui svolte. E gli inquirenti sono arrivati ad indentificare un commando, un gruppo di una decina di persone che - mentre nell’aula consiliare del Comune il sindaco Alessandro Ramazzotti incontrava i cittadini per spiegare un protocollo d’intesa apparso ai più impopolare - dava l’assalto al campo. Bilancio: sei tende bruciate, altre sette distrutte, e un progetto d’accoglienza bloccato fino ai primi di gennaio.
Testimonianze raccolte sul posto, perizie tecniche sulle taniche di benzina ritrovate nelle ore successive al rogo a pochi passi da quel che restava dell’insediamento, elementi raccolti e incrociati dagli investigatori che, dalla folla di qualche centinaio di persone che circondava il campo quando ormai le fiamme avevano lasciato posto alla cenere, sono riusciti a restringere il novero dei possibili responsabili fino a un gruppo ristretto di dieci persone. Con ogni probabilità persone già note alle forze dell’ordine, appartenenti all’area dell’estremismo di destra e strettamente legate alle frange più violente delle tifoserie calcistiche milanesi.
Prima che la relazione dei carabinieri arrivi in Procura, dovranno essere ultimati gli accertamenti e - soprattutto - differenziate le singole posizioni di quanti presero parte al blitz. Perché non ci fu solo chi appiccò materialmente il fuoco alle tende della protezione civile, ma anche chi - dalle «retrovie» - incitò all’incursione. Uno scenario, quindi, ancora da definire, ma un primo passo è stato fatto. Il fascicolo aperto dal pm Barbaini - che ipotizza i reati di devastazione, incendio, istigazione all’odio razziale, violenza, interruzione di pubblico servizio - al momento resta infatti contro ignoti. Ma starà al magistrato, dopo aver letto la relazione dei carabinieri, iscrivere nel registro degli indagati i nomi dei presunti responsabili del rogo di Opera.
Sul fronte politico, invece, si registrano pochi segnali distensivi. Polemiche che non accennano a stemperarsi, e il filo del contrasto che corre tra Dl e Alleanza Nazionale. In strada con la gente di Opera, il capogruppo provinciale di An Giovanni De Nicola. «La carità non si fa per legge, e non è un obbligo», attacca. «I rom se li possono ospitare a casa propria il cardinale Tettamanzi e l’assessore comunale Mariolina Moioli». A giro stretto di posta, la replica del vicepresidente della Provincia Alberto Mattioli. «Stiamo degenerando - dice l’esponente della Margherita -.

Nonostante le misure di sicurezza garantite ai cittadini, un patto di legalità, sottoscritto dalle parti coinvolte, e la volontà di trovare una soluzione rapida e diversa per le poche decine di donne uomini e bambini accampati in quelle tende, c’è chi continua a fomentare l’intolleranza e il disprezzo verso coloro che si stanno prodigando nel trovare risposte adeguate alla difficile situazione».

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