Operai avvelenati nel silos: la procura indaga 10 persone

Saranno almeno in 10 ad essere iscritti sul registro degli indagati per la morte dei 3 operai nello stabilimento Dsm a Capua. Si tratta di responsabili e rappresentanti delle 4 ditte coinvolte nell’incidente: la multinazionale Dsm, la Errichiello di Afragola (per la quale lavoravano le vittime), la Rivoira che si occupa della gestione dei gas liberi e un’altra che avrebbe dovuto effettuare la bonifica della cisterna. Per la Procura di S.Maria Capua Vetere l’ingresso doveva essere vietato, ma ai 3 era stata data l’autorizzazione.
Le vittime stavano effettuando un’operazione di smontaggio e senza forse sapere che all’interno del silos ci fosse «un grosso quantitativo di azoto oltre che di elio». Questo significa, secondo il ragionamento della Procura, che l’ingresso sarebbe dovuto essere vietato ai tre operai. Ma non è andata così: attaccati agli indumenti delle vittime sono stati, infatti, ritrovati i permessi di autorizzazione ad entrare nella cisterna dove la bonifica non era stata, evidentemente, mai effettuata.
Le vittime si chiamavano Antonio Di Matteo, 63 anni, originario di Macerata Campania, Giuseppe Cecere, 50 anni, originario di San Prisco, Comuni del casertano, e Vincenzo Russo, 43 anni, originario di Casoria in provincia di Napol.
Davanti ai cancelli dello stabilimento della multinazionale, oggi il responsabile della sicurezza della Dsm, Luca Rosetto, ha assicurato: «Siamo i primi che vogliamo fare chiarezza e vogliamo capire cosa è successo. Al momento non lo sappiamo».
«Incredulità e dolore», ha espresso la Dsm che ha anche avviato un’indagine interna. Il giorno dopo il tragico incidente, dall’Olanda è arrivato anche qualche vertice per un’assemblea a porte chiuse con tutti i lavoratori, «per tranquillizzarli e per capire». Rosetto fa una premessa: «È un dato di fatto che tutti gli incidenti possono essere evitati. Quello che vogliamo accertare è come avremmo potuto evitare questa simile tragedia».

la Dsm sta a Capua come la Fiat sta a Pomigliano D’Arco. «Questo stabilimento sta qui da 52 anni, ha dato lavoro ad oltre 800 persone, ora regge 300 famiglie». «Dicono che la prassi messa in atto dagli operai era consolidata, si parla di errore umano», aggiunge il sindaco.

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