Un palcoscenico sul palcoscenico quello usato da Liberovici per raccontare la sua storia di un mondo futuro in cui ogni diritto umano, dignità e rispetto sono stati calpestati e in cui oramai regna solo il disastro totale. Una storia apparentemente senza recupero ma che invece vede un riscatto finale fatto di speranza, alla sola condizione che in chi è sopravvissuto ritorni il vero valore per continuare ad andare avanti: investire sull'essere umano. Due personaggi in un palco buio in cui la protagonista assoluta è la musica, davvero bella e ben riuscita, impersonata e cantata da una voce che fa quasi paura per la sue capacità di estensione che è quella di Helga Davis, perfetta nel suo ruolo di angelo/diavolo nero. Già perché in questo mondo postatomico sospesa vicino ai sopravvissuti è Shadow/Mephisto, ombra, memoria e coro che canta la cultura e gli imperativi di quel capitalismo che ha portato alla catastrofe. Lei vaga sopra le loro teste e anche se non è vista entra nei loro animi per tirare fuori ricordi, colpe rimosse, egoismi e cinismi che hanno permesso la distruzione di sé stessi e del mondo intero.
Il fil rouge di «Operetta in nero» otto canzoni che riprendono le otto lettere che formano la parola Mephisto che raccontano la cultura odierna in cui la fanno da padroni denaro, guerra, tecnologia, ma che non dimentica anche l'amore. La Davis le canta in inglese per una scelta precisa di Liberovici che vuole usata la lingua dell'imperialismo, come la forma musicale della «pop song» è la colonna sonora della nostra vita attuale.
Queste otto canzoni sono un vero capolavoro, in cui esce fuori tutta la preparazione musicale del regista che ancora una volta porta in scena il suo particolare modo di intendere il teatro.
Lo spettacolo rimarrà al Duse fino al 3 aprile.