«Ora gli ayatollah sono pronti a tutto»

In un libro scritto con il giornalista Michel Taubmann («Iran l’ora della scelta») lei aveva già anticipato un sommovimento radicale della società iraniana. Ci siamo?
«È l’ora della verità. Dietro la mobilitazione a favore di Moussavi la realtà è quella di un referendum contro il regime. La situazione è quasi rivoluzionaria. Il paese è in rivolta. E personalmente ho sempre pensato che prima o poi sarebbe successo. I miei concittadini reclamano i loro diritti ben al di là di quello che il regime sembra disposto a concedere».
Che cosa tiene insieme il regime?
«In primo luogo naturalmente la repressione. Ma il regime mostra segni sempre più evidenti di frammentazione. E la guida suprema Khamenei è di fronte a un dilemma: se cede perde la faccia a favore degli iraniani. Se reprime la protesta perde ogni legittimità».
In ogni confronto tra un potere e una società civile viene il momento in cui il ruolo delle forze di sicurezza diventa decisivo. Nel suo libro lei spiega che queste forze non sono affatto monolitiche.
«Grazie ai miei contatti nel Paese mi sforzo di parlare alle forze dell’ordine per esortarle a non usare la violenza. La verità è che sono divise. Perfino tra i pasdaran e i basiji molti sono scontenti. Del loro livello di vita, della loro situazione. C’è anche un problema di coscienza. Finiranno per interrogarsi sul loro ruolo in questo tipo di situazione, sia che restino neutrali, sia che prendano le parti della popolazione e rifiutino l’ordine di sparare».
Lo scenario della repressione violenta resta comunque un’ipotesi. Alcuni analisti evocano sviluppi di tipo bonapartista, voluto da Ahmadinejad con una parte dell’esercito, che minaccerebbe il potere di un Khamenei ormai indebolito.
«Una Tienanmen iraniana resta un’ipotesi. La minaccia di una fazione pronta a dare vita a una nuova forma di dittatura, mettendo insieme elementi religiosi e militari contro Khamenei, non è da escludere. La dittatura iraniana è complessa e si fonda su un amalgama di forze che fanno appello a un interesse comune. Noi temiamo che il regime scelga la fuga in avanti e arrivi fino alla proclamazione della legge marziale per portare a termine una definitiva repressione contro gli oppositori. Sarebbe il sacrificio di intere generazioni e il regime finirebbe per accelerare il suo programma nucleare. Il che potrebbe scatenare un attacco preventivo israeliano. Uno scenario catastrofico. Per impedirlo bisogna sostenere il movimento di disobbedienza civile. Dobbiamo preparare sin da oggi un processo di transizione che permetta di orientare una parte del regime a favore del cambiamento, assicurando ai moderati un’amnistia e la possibilità di far parte di un sistema politico laico e democratico».
Lei parla come se questo cambiamento possa essere imminente...
«Ma il cambiamento c’è già: lei sa che il concetto di laicità oggi è più discusso nelle moschee di Qom che ad Harvard o a Londra?».
L’Occidente è secondo lei troppo prudente di fronte al regime?
«Essere prudenti è normale, ma il mondo non potrà lasciare soli milioni di iraniani senza reagire. E questo è il messaggio centrale che gli oppositori oggi in Iran mi chiedono di trasmettere. Io non dico che l’Occidente non debba avere un dialogo con il potere. Ma deve mantenere legami con l’opposizione iraniana, se vuole uscire dall’impasse geopolitico nel quale l’Iran mantiene l’intera regione. Il regime se ne frega delle sanzioni. La sola cosa che lo spaventa è che il popolo si ribelli. E questa paura deve essere utilizzata come una leva per fare pressione su Teheran. Il presidente Obama ha teso la mano all’Iran, ma il regime gli ha risposto organizzando delle manifestazioni in cui si urla “morte all’America”.

Oggi sono contento di constatare che alla fine, in Europa come negli Stati Uniti, i responsabili politici hanno preso coscienza della vera natura del regime e mostrano il loro sostegno alle rivendicazioni democratiche dei miei concittadini».
Laure Mandeville
Le Figaro/Volpe

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