Galeotta fu la cartolina, allegata alla raccomandata del Coni, spedita da Roma a Torino per completare la pratica doping, e chi la siglò. Di sicuro un dipendente della Juventus, forse il portiere dello stabile: non dev'essere un tipo preciso a giudicare dagli effetti. Quel documento infatti non è mai arrivato a casa di Fabio Cannavaro e neanche sul tavolo del medico del club, Bartolomeo Goitre, il successore del dottor Agricola. Conteneva la richiesta della documentazione con cui giustificare luso di una pomata contenente cortisone per curare il capitano azzurro, sostanza vietata, dunque da denunciare per evitare guai. Un paio di giorni prima di Roma-Juve, il difensore era stato punto da una vespa e per questo banale motivo il medico aveva dovuto far ricorso alle cure. A fine partita, gli inviati del Coni hanno controllato Cannavaro e la dose di cortisone. Tutto in regola. Hanno trovato, sull'argomento, anche una "pezza d'appoggio": il trafiletto del quotidiano Tuttosport che dava conto del curioso contrattempo.
Negli uffici della procura antidoping di Roma c'è stata una breve discussione, prima di aprire ufficialmente il fascicolo e darne notizia. Avevano capito che dietro il caso si nascondeva un disguido e temevano di sollevare l'inutile polverone. E invece hanno fatto meglio così. A spedire oggi a Torino Ettore Torri con l'incarico di chiarire, mediante una brevissima indagine (dovrà sentire Cannavaro, il medico e anche identificare il dipendente autore della sigletta rilasciata sulla cartolina della raccomandata mai recapitata agli interessati), il pasticcio e chiudere la pratica.
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