Ora c’è ottimismo per Padre Bossi I mediatori lanciano segni positivi

Ma le operazioni dell’esercito nell’isola di Basilan potrebbero complicare la liberazione

«Siamo in attesa di sviluppi positivi», fanno sapere i missionari italiani nelle Filippine riferendosi alla sorte di padre Giancarlo Bossi ancora sotto sequestro nella zona meridionale dell’arcipelago, dove non si è mai spento il separatismo armato dei musulmani. «Continua la mediazione per la liberazione di padre Giancarlo Bossi: i contatti stanno andando avanti e dalla comunità dei missionari del Pime nelle Filippine trapela un cauto ottimismo», conferma Asianews, l’agenzia del Pime (Pontificio istituto missioni estere) di cui fa parte l’ostaggio italiano. La prima ad aprire uno spiraglio nelle ultime ore è stata l’agenzia vaticana Fides, che riportava le parole di padre Luciano Benedetti, missionario del Pime a Zamboanga: «La comunità prosegue nella preghiera incessante, mentre si cercano contatti, informazioni utili, possibili mediatori. Molti si stanno dando da fare. In questi giorni avvertiamo la simpatia della gente, e questo fa ben sperare per un aiuto nell’opera di persuasione per il rilascio di padre Bossi».
Oramai sono passati quasi 40 giorni dal sequestro avvenuto il 10 giugno a Payao, cittadina dove il religioso italiano è parroco, nell’isola di Mindanao, roccaforte del separatismo islamico. «In realtà - spiegano al Pime - nelle Filippine (85 milioni di abitanti) i terroristi sono ben pochi, ma fra le popolazioni locali, prigioniere di conflitti di matrice politica, economica e culturale, in estrema povertà, il circuito della reazione violenta e della criminalità può alimentarsi».
I confratelli di padre Bossi che sono sul posto pesano le parole, ma in realtà è forte il sospetto che il religioso sia in mano ad una banda di tagliagole islamici, che spesso nelle Filippine si trovano a metà del guado fra criminalità comune, estremismo politico e religioso. Inoltre la polizia e l’esercito filippino continuano nelle loro ricerche operando nella penisola di Zamboanga, ma pure sulle isole circostanti. In particolare l’isola di Basilan dove, secondo alcune notizie circolate negli ultimi giorni, il missionario potrebbe essere tenuto in ostaggio. In tal senso si è sbilanciato anche monsignor Martin Jumoad, vescovo della prelatura di Isabela, capoluogo dell’isola di Basilan. Se così fosse la situazione si complica, perché a Basilan hanno operato cellule di Abu Sayaf (la spada di Allah), un gruppo legato ad Al Qaida, e fazioni rinnegate del Fronte islamico Moro di liberazione (Milf). Nel 2002 i terroristi rapirono dei turisti occidentali nell’isola di Palawan, compresa una coppia di missionari cristiani provenienti dagli Stati Uniti. Uno dei due, Martin Burnham, assieme ad un altro ostaggio, fu decapitato.
Proprio sull’isola di Basilan le messe nella cattedrale sono talvolta «presidiate da un’intera compagnia di soldati e da tre carri armati». Lo denuncia il rapporto del 2006 della Chiesa che soffre nel mondo. Inoltre la tensione a Basilan si è impennata dopo l’agguato della scorsa settimana ad una pattuglia dei marine filippini, che forse stava cercando padre Bossi, ma era entrata in una zona controllata dai miliziani del Milf. Da anni il movimento Moro sta trattando con il governo una soluzione pacifica del conflitto, anche se ogni tanto la situazione precipita. Almeno 14 soldati filippini sono stati uccisi nell’imboscata, dieci dei quali decapitati.

I portavoce del Milf ammettono l’imboscata, ma non il taglio della testa delle vittime. Il governo delle Filippine ha lanciato un ultimatum intimando la consegna dei responsabili della strage, ma ieri i ribelli islamici lo hanno respinto.

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