Sandro Astraldi
da Roma
Al Coni fanno finta di niente. Ma sotto garanzia di anonimato gli uomini di Gianni Petrucci confermano che «sì, il presidente non è affatto contento della piega presa dalle cose». Vero, in sostanza, quanto ha scritto Repubblica un paio di giorni or sono: che tra Petrucci e il commissario alla Figc Guido Rossi è sceso il grande freddo.
Raccontano i bene informati che le avvisaglie già si erano intraviste in Germania. A fronte di un presidente del Coni sempre presente ma in silenzio perpetuo, il clan azzurro rimase perplesso per quel commissario che si autoproclamava «portafortuna» della squadra, che invocava sanzioni pesanti contro i club finiti nelle grinfie di Borrelli, che aveva ripreso Cannavaro e che - sotto sotto - anche Lippi dimostrava di non gradire per le velleità giustizialiste che avrebbero finito per danneggiare il figlio.
Ma il bello doveva venire. Petrucci lamenta da anni i contributi sempre più asfittici riservati dal Governo al Coni. Il Totocalcio è crollato, i soldi sono pochi. E lo scandalo rischia di depauperare ancor più la sola miniera doro rimastagli per foraggiare lo sport azzurro: la serie A. Un primo calcolo starebbe a dimostrare che - spettatori, accordi tv, scommesse e quantaltro - il campionato maggiore rischia di perdere di botto 300 milioni di fatturato. È allarme rosso. Petrucci lavrebbe fatto presente, trovando a sorpresa, comprensione specie nei Ds che molti avevano visto come ispiratori della nomina di Rossi alla Figc, tramite la Melandri.
Che è successo, dunque? Probabile che le proteste dei tifosi abbiano preoccupato il Botteghino: Fassino, si sa, è juventino. Ma ad elevare la temperatura sarebbe stato soprattutto quanto accaduto a Firenze. Dove DAlema è stato tirato in mezzo dai tifosi viola, inviperiti per la sorte della loro squadra, e dove il sindaco Dominici promette fuoco e fiamme se la condanna alla B verrà confermata, ipotizzando che lo stesso comune si costituisca al Tar, ipotesi questa agitata invece come una clava (punizioni ancora maggiori) da parte di Rossi. Anche a Roma cè maretta tra i Ds. Perché se Veltroni, buon amico della Melandri, si limita a sostenere «che lindispensabile opera di moralizzazione non impedisce di considerare eccessivamente punitivo il giudizio sulla Lazio», il segretario dei Ds della capitale, senatore Montino (non è tifoso biancazzurro) ha molti meno peli sulla lingua: «Mi auguro che il secondo grado di giudizio sia suffragato e sostenuto da fatti inequivocabili che non si evincono affatto dalla sentenza di primo grado. La Corte Federale si basi su motivazioni inequivocabili, severe ma giuste. E per esser giuste - dice - devono basarsi su fatti certi, altrimenti si commette un errore molto grave». Sulla stessa lunghezza donda lassessore comunale alla cultura Gianni Borgna: «Vicenda kafkiana, quella della Lazio. Dopo arbitraggi negativi ci si rivolge ai vertici federali e il risultato è lillecito? Non si può mandare in B una squadra senza uno straccio di prova. Qui ci vuole assoluzione piena, altrimenti la certezza del diritto scompare». Tuttaltre note nello spartito di Rossi, che reclama conferme delle punizioni. Anzi, un loro aggravio. Così Petrucci non vede lora che arrivi lautunno per toglierselo di torno. E anche i Ds, sembrano oggi spaventati da questo giustizialismo di ritorno che rischia di strappar loro non pochi consensi.
A reclamare immediate dimissioni di Rossi sono intanto tifosi di Lazio, Juve e Fiorentina che su diversi siti Internet hanno diffuso una lettera aperta al commissario rimproverandogli tra laltro «forzature e frizioni» nei gradi di giudizio nonché la «confessione» di aver formulato richieste di giusta tutela ai vertici arbitrali in Germania (cosa che in Italia conduce alla B) per riuscire a portare a casa il titolo di campione del mondo.
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