da Roma
Non sarà un decreto legge, quello sulle intercettazioni. Silvio Berlusconi lavrebbe preferito, allinterno del suo partito cera chi laveva già studiato, ma alla fine si è deciso di non insistere. Soprattutto, per problemi legati allingorgo dei lavori parlamentari, che avrebbe messo a rischio la conversione in legge entro 60 giorni. Ma anche per evitare ogni possibile tensione con il Quirinale.
Così, allordine del giorno di oggi del consiglio dei ministri non figura nessun provvedimento durgenza in materia di intercettazioni. E sul tavolo rimane solo il disegno di legge sulla stessa questione approvato il 13 giugno e firmato dal presidente della Repubblica il 26, ma non ancora assegnato alla competente Commissione giustizia della Camera.
In questi giorni di incertezza, con il premier che parlava esplicitamente di un decreto legge e il guardasigilli Angelino Alfano che ne illustrava le caratteristiche di urgenza e necessità, sono state valutate diverse ipotesi. Oltre a quella di convertire in decreto il disegno di legge tout court, cera quella di stralciarne una parte: quella relativa alla diffusione e pubblicazione dei testi delle intercettazioni. Il resto sarebbe rimasto nel disegno di legge che avrebbe seguito liter normale a Montecitorio. «Non si può andare avanti così - spiega uno stretto collaboratore del Cavaliere -, con la minaccia ogni giorno di veder finire sui giornali fatti di vita privata della gente».
La tentazione di spingere sullacceleratore era forte, ma valutate tutte le conseguenze alla fine Berlusconi ha rinunciato.
Il problema dei pochi giorni a disposizione, come hanno spiegato diversi esponenti azzurri da Alfano a Niccolò Ghedini, è concreto: ci sarebbe voluto un tour de force, costringendo i parlamentari ad accorciare le ferie, per non far decadere il decreto in piena estate.
Poi gli alleati, Alleanza nazionale e Lega, consigliavano di soprassedere preoccupati anche di unimmagine negativa delloperazione. «Non ci sono problemi nella maggioranza», assicurano a Forza Italia. Ma sempre meglio non tirare troppo la corda.
E infine cera la delicata questione del Colle. A Giorgio Napolitano si poteva portare solo un provvedimento ben motivato e garantendone anche la praticabilità parlamentare in sede di conversione. Anche perché il capo dello Stato ripete ad ogni occasione che lo strumento dei provvedimenti durgenza non può essere utilizzato con troppa disinvoltura.
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