Ora i radical chic bocciano Sgarbi

Chi non lo vuole pensa che per gestire i musei serva un burocrate Ma Venezia ha bisogno di un ambasciatore dell’Italia nel mondo

Ora i radical chic bocciano Sgarbi

Non c’è personaggio della cultura in Italia oggetto di pregiudizi quanto Vittorio Sgarbi. Fino a ieri il tormentone ricorrente riguardo la sua presunta non competenza sul cosiddetto «contemporaneo». Può darsi che lui non sia informato sulle tendenze più trendy dell’arte internazionale, ma quella italiana la conosce eccome, solo che non uniforma il proprio gusto al dominante, quindi, secondo l’opinione della cricca sarebbe inadatto a curare il prossimo Padiglione Italia (obiezione che neppur troppo teneramente era già stata rivolta a me).

La notizia di una sua possibile nomina a sovrintendente dei musei statali a Venezia ha scatenato il consueto balletto di polemiche «ad personam». Si contesta la sua poca propensione a star seduto in ufficio, a occuparsi del quotidiano, a far riunione con i sindacati. È vero, in questo ruolo Sgarbi sarebbe stretto, ma perché non riusciamo a uscire da una visione tutta italiana del sovrintendente come oscuro funzionario che poco altro fa oltre a firmare carte bollate e negare prestiti per mostre temporanee. All’estero la figura del sovrintendente è stata da tempo sostituita da quella del manager culturale, chiamato con l’obiettivo di rilanciare un museo e proporlo come un luogo vivo, dove non sia impossibile persino trarre parziale profitto. Una strada intrapresa peraltro in Piemonte con le nomine di Fabrizio Del Noce a Venaria e Giovanni Minoli al Castello di Rivoli. E non risulta che entrambi bollino la cartolina tutti i giorni, mentre il loro carisma mediatico è un dato di fatto.

Se si parla di capacità comunicativa Vittorio è lo Special One dell’arte italiana. Ma l’avete mai visto in azione, a catturare simpaticamente la gente, gente comune, e trascinarla nei musei? Proprio uno degli ostacoli tecnici sollevati, il ruolo di sindaco a Salemi, dovrebbe invece costituire un punto a suo favore: quanti conoscevano il piccolo paese del Belice prima della discesa sgarbiana in Sicilia? Chi è mai riuscito a inventarsi un museo di cui si parla anche all’estero in pochi mesi e con soli 60mila euro? Certo, non sarà un assiduo frequentatore del consiglio comunale, ma quanto ad ambasciatore dell’Italia nel mondo Sgarbi teme pochi confronti.

Altro cavillo, il cumulo delle cariche, problema che nel Bel Paese riguarda solo lui, visto che altri possono dirigere e presiedere più musei senza che a nessuno venga in mente d’incaponirsi. Il problema vero, piuttosto, pare un altro: Sgarbi è vulcanico, ha mille idee al giorno, ti fa lavorare sodo con ritmi spesso folli. E l’impiegato di Stato questo non lo accetterà mai. Aspettiamoci dunque resistenze ad oltranza.

Eppure mai come questa volta la carica proposta sembra adatta al suo profilo. Conoscitore magistrale della storia dell’arte, lo immaginiamo perfettamente a suo agio tra le collezioni dell’Accademia, Ca’ d’Oro, Museo Archeologico e Palazzo Grimani, che necessiterebbero di tornare a nuova vita in un concetto più fluido, moderno e dinamico, dove è meglio un tocco di spregiudicatezza invece che il solito eccesso di conservatorismo.

Il punto è che forse ci illudiamo di poter sostenere una difesa dell’imputato Sgarbi sollevando obiezioni meramente culturali, quando sospettiamo il problema essere invece politico. Passano gli anni eppure l’appartenza a un’area di centrodestra (nel caso di Vittorio peraltro blanda) continua a presentarsi come un problema insormontabile in un sistema resistenzialmente arroccato dall’altra parte. Una fitta rete che paralizza qualsiasi tentativo di innovazione.

Chi ha lavorato nei musei statali, come l’ex sovrintendente veneziana Caterina Bon Valassina, conosce le difficoltà e infatti auspica la nomina di Sgarbi per rilanciare un meccanismo stantio. Speriamo non prevalga piuttosto l’inveterata abitudine che sia meglio non far niente piuttosto che far troppo...

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