Politica

«Ora non sparateci solo perché siamo musulmani»

Lorenzo Amuso

da Londra

Nonostante le rassicurazioni del capo di Scotland Yard, la comunità musulmana britannica ora si sente vittima di un’indiscriminata repressione, e invita il governo di Tony Blair a cambiare la sua politica in Irak. L’uccisione del sospetto terrorista a Stockwell, freddato da cinque colpi alla testa, inaugura una nuova fase nella strategia anti-terroristica britanniche. L’«Operation Kratos», entrata in vigore pochi giorni dopo l’attentato del 7 luglio, prevede il ricorso di poliziotti armati, in borghese, autorizzati a sparare alla testa in presenza di «situazioni altamente pericolose». L’obiettivo, quindi, non è più fermarli, ma ucciderli, impedendo così loro di farsi esplodere una volta catturati. Una misura di sicurezza estrema, che spaventa i leader islamici britannici. «Rischiamo di trovarci davanti ad una politica di “sparare per uccidere” qualsiasi sospetto - ha denunciato Inayat Bunglawala, un portavoce del Consiglio musulmano britannico -. Molti giovani musulmani sono preoccupati e hanno telefonato al Consiglio: che ci succede se per caso ci portiamo dietro in metropolitana uno zaino? Sono in tanti a temere di essere uccisi dalla polizia senza motivo».
Ian Blair ha voluto sottolineare che le operazioni di polizia non sono contro nessuna comunità. Ma le sue parole non hanno placato i timori di migliaia di cittadini musulmani, sempre più spesso vittime di abusi razzisti. Ritorsioni quotidiane - in Inghilterra come nel Galles - di chi non distingue i semplici esponenti della confessione islamica dalla galassia integralista. Insulti, lettere di minacce, telefonate minatorie, uova contro le moschee, sputi, aggressioni fisiche. Il rischio - suggerisce un sondaggio effettuato ieri da Sky - è che aumenti nella comunità musulmana la diffidenza - e la distanza - verso le istituzioni britanniche, a favore del radicalismo religioso. Quasi la metà (46%) dei musulmani della Gran Bretagna, infatti, si identifica principalmente con la sua Ummah, l’identità musulmana, mettendo in secondo piano la sua cittadinanza britannica.
E pur condannando in larghissima maggioranza gli attentati e il ricorso al terrorismo, il 50% dello stesso campione è inoltre convinto che il clero radicale che predica la violenza non tradisca i più importanti precetti dell’Islam. «Fedeli che sbagliano», sostiene il 21%, che nega la propria cooperazione alle autorità del Regno Unito nella caccia ai terroristi: 400 mila cittadini, con passaporto britannico, impliciti - e forse involontari - fiancheggiatori dell’Islam che uccide. Numeri che suggeriscono la presenza di una società a parte, che rischia ogni giorno la deriva terroristica. Come conferma il presidente della Muslim Association of Britain - intervenendo alla preghiera del venerdì nella Moschea di Birmingham, il più grande luogo di culto islamico di tutta Europa - che si è dichiarato impotente di fronte all’ondata di terrorismo che ha investito la capitale britannica. «La nazione si trova veramente in pericolo e non vi è modo di uscirne fino a quando le forze militari britanniche rimarranno in Irak. Si tratta di un’offensiva grossa, non soltanto di alcuni estremisti di Leeds. Le nostre vite sono veramente a rischio.

Il comune riconoscimento dell’atrocità di quanto avvenuto a Londra non basta a riunire le nostre comunità nella condanna».

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