Questa mattina, andando a trovare un amico in via Guastalla, ho visto in distanza vessilli, palloni colorati e una vera e propria folla di persone che sembravano manifestare per qualche iniziativa politica o di protesta. Mi sono avvicinato e ho capito di essere in prossimità di un’entrata laterale del tribunale di Milano. Non c’era nessun comizio. Eppure c’erano esponenti politici a me ben noti. Il vicesindaco di Milano De Corato, il sottosegretario Mantovani, l’assessore alla Cultura di Como Sergio Gaddi, Viviana Beccalossi, ed altri consiglieri ed esponenti generalmente vicini a Berlusconi. Non mancavano televisioni e corrispondenti di testate giornalistiche e di agenzie. Anche un inviato di Annozero o di Ballarò che mi hanno prontamente intervistato. Si chiedevano cosa facessi lì io, ma io mi chiedevo cosa facessero lì invece uomini politici per un’occasione tecnicamente e meramente giudiziaria: uno dei soliti processi a Silvio Berlusconi. Non l’appassionante Ruby-gate ma qualcosa che riguarda i diritti Mediaset per film Paramount. Non conosco le carte del processo, ma mi pare che abbiano ben poco di politico, così come le morbose vicende sessuali generate dal caso Ruby.
Perché allora questa manifestazione? Ho avuto così un lampo. I processi a Berlusconi assumono un rilievo politico indipendentemente dalla loro materia. Ormai per la terza volta queste manifestazioni travalicano l’interesse del processo e determinano anche questioni di ordine pubblico. Appare chiaro a chiunque, colpevolista o innocentista, che celebrare questi processi a Milano sempre di più creerà disagi ambientali dando origine a manifestazioni che non potranno che turbare il sereno svolgimento del dibattimento. Ciò che è accaduto e che accadrà cambia la natura dell’inchiesta per il legittimo sospetto che essa sia strumentale. Per questo un tifo da stadio o da comizio indica una situazione intrinsecamente politica.
È dunque improprio rimanere a Milano, e, per la tranquillità dei magistrati e l’ordine pubblico, sede ideale sarebbe Roma. E non il Tribunale dei ministri, ma un luogo neutrale di cui non fosse resa nota l’ubicazione. Tenere il campo, indicare la data di convocazione comporta evidenti rischi e una sostanziale incompatibilità. Il processo a un presidente del Consiglio, se non lo si vuole spettacolarizzare, si celebra dopo la fine del suo mandato, o in una sede concordata con lui con tutte le garanzie di riservatezza fuori dei clamori mediatici e dalle strumentalizzazioni politiche. Esattamente l’opposto di quello che è avvenuto con un’azione spudorata ed esibizionistica, a danno dello Stato e delle istituzioni e in nome di un grottesco moralismo. La Francia ci ha risparmiato uno Jacques Chirac presidente sotto processo.
Noi l’abbiamo trascinato a difendersi in tribunale con morboso compiacimento e con il titolo della testata di Biscardi: Processo del lunedì. Ed eccoli tutti a parlare, a comiziare, alcuni addirittura sopra una pedana lì per lì allestita. Qualcosa di inverosimile, di protervo, molto diverso dal clima di amicizia che si respira ad Arcore, con ragazze la cui colpa è solo di essere belle. Ma il presidente del Consiglio si deve far processare o, addirittura, si deve dimettere per farsi processare anche se è evidente l’inconsistenza della materia. È un dogma dei giustizialisti, anche di fronte all’inopportunità di trasformare un processo in una manifestazione di piazza. Se fosse percepito come necessario non ci sarebbero proteste, ma appare a tutti evidente che occuparsi di fellatio mentre si bombarda la Libia e gli immigrati sbarcano sui nostri lidi è per lo meno inopportuno, è un’inutile espressione di dominio nonostante le circostanze. Si aggiunga che tutto questo avviene in regime di par condicio e che i processi si rivelano occasioni per parlare di politica. Chissà perché? E così i suoi nemici garantiscono a Berlusconi il doppio di visibilità e ingenerano il dubbio di una giustizia di parte. Non è più un processo ma due partiti contrapposti, e a rimetterci non può che essere l’immagine della giustizia. Insistere nel processare Berlusconi a Milano significa partecipare alla campagna elettorale e consentire a Berlusconi di apparire vittima di un’azione se non ingiusta inopportuna.
Cosa c’entrano con il governo, e con chi deve governare, i diritti Mediatrade, il processo Mills e la storia di Ruby? Sono così urgenti e così vitali? E l’Italia dev’essere mostrata al mondo per le ridicole vicende di Ruby come se fosse stata una povera vittima indifesa e le decine di ragazze che hanno semplicemente cercato di fare carriera in televisione? Queste sono le urgenze della nostra giustizia durante la campagna elettorale per le amministrative? I giudici saranno costretti a sottoporsi a un tribunale popolare e non ne usciranno incolpevoli. D’altra parte se qualcuno chiedesse le dimissioni di Berlusconi, Berlusconi potrebbe legittimamente chiedere le dimissioni della Boccassini per evidente parzialità.
Chi può impedire a Berlusconi di difendersi comiziando? A questo punto il problema non riguarda più la Consulta e il Parlamento ma dovrebbe essere sottoposto alla commissione di vigilanza sulla Rai per evidente violazione della par condicio che i processi a Berlusconi con le inevitabili difese e le manifestazioni di piazza sistematicamente violano trasformando la vicenda giudiziaria in inutile questione politica, in un ping pong fra accusa e difesa,
dove la difesa può denunciare l’anomalia di un’inchiesta faziosa e non condivisa. Senza serenità nessun processo si può svolgere. Anche per questo, alcuni ricorderanno, le stragi di Milano finirono in giudizio a Catanzaro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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