Laura Novelli
Al centro dei fatti cè una torbida storia di lotta di classe e di conflitto tra uomo e donna. Ma è soprattutto nel senso di frantumazione dellio, di inconsistenza della realtà che La Contessina Julie di August Strindberg (1889) ci mostra la sua forza più moderna e più disarmante. Basti vedere come lopera, affidata adesso alla regia di Marsel Lesko quale saggio di diploma del corso di regia frequentato allAccademia «Silvio DAmico», riesca a trascinare il pubblico tra le maglie di un linguaggio per così dire «mobile», dove alcune frasi si ripetono come in una partitura musicale, dove le affermazioni precedenti vengono smentite dalle successive, dove nulla è dato per certo. La vicenda, anzi, affascina proprio per questo: perché scorre e passa dentro lanimo dei personaggi piegandoli ad umori, pulsioni, tensioni sempre diversi, assolutamente imprevedibili. E ha ragione Lesko ad ambientare questo vorticoso gioco al massacro in uno spazio anchesso lacerato, diviso in tre aree distinte che ospitano, ognuna, un aspetto della complessa pièce. Al livello del pubblico cè una cucina arredata in modo semplice ma esaustivo, dove i fatti semplicemente «accadono». È qui che la fragile aristocratica Julie (Ivana Pantaleo) seduce il losco e ambiguo servitore Jean (Pietro Pace) e lo spinge, senza curarsi della cuoca/fidanzata Kristin (Magda Saba), a comprometterle lonore e a provocare il suo stesso suicidio. Gli sfoghi più intimi, i cambiamenti interiori più drammatici avvengono, invece, sul palcoscenico: laddove, tra penombra e accurati tagli di luce, la tragedia incrocia le labili (se non folli) regioni della coscienza. Esiste poi un terzo riferimento ambientale che, alluso attraverso una porta in realtà inesistente, rimanda ad un fuori asettico e distaccato, non scevro però dalle insidie dellopportunismo e della malvagità.
In replica al teatro studio «Eleonora Duse» fino a sabato 30.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.