nostro inviato a Baden
«Non ci resta che pregare» ammettono sconsolati i francesi. Ma dalle parti di Baden dove resiste ancora per qualche giorno il quartier generale del club Italia, non è che stiano meglio. Un punto ciascuno fa male a entrambi, dietro la Romania salita a quota 2. Ma qui il rischio è di perdersi dietro la guerra aperta con arbitri e portavoce Uefa che continuano a intervenire per definire regolare tutto ciò che risulta, in modo vistoso, fischiato contro gli azzurri. «Ci è mancato un pizzico di fortuna» sintetizza Donadoni che non vuole passare da piangìna e pensa così di recuperare preziose energie per la Francia, ultima chiamata prima di arrendersi. «Ho visto motivati quelli che non han giocato a Zurigo» l’informazione passata dal Ct che risulta in superficie sereno e distaccato rispetto agli eventi mentre invece viene descritto dall’interno dello spogliatoio «troppo agitato», molte e ripetute le riunioni indette, un martellamento incessante che non concilia con la serenità reclamata dal gruppo. È la prima volta che vivono insieme da poco meno di un mese e si colgono, con la precarietà dei due risultati, i primi segni di insofferenza. Chi vede da lontano e da vicino l’arrancare delle due finaliste di Berlino, 48 mesi dopo quella splendida cavalcata, indovina facilmente la fine del ciclo e la necessità di una rispettiva rifondazione. Si usa dire così, no, quando si avvertono sinistri scricchiolii. «Mi è piaciuto lo spirito della sfida con la Romania, dobbiamo ripartire da lì» l’indicazione di Donadoni.
I francesi pensano alla preghiera, gli italiani immaginano invece che sia il caso di aggrapparsi al pibe di Bari, Antonio Cassano entrato già contro l’Olanda per regalare qualche scossa benefica al corpaccione di una squadra dall’elettroencefalogramma quasi piatto. «Quando lo convocai, la scelta fece rumore e notizia» riflette ad alta voce Donadoni per dire ai più che nessuno lo voleva, nessuno lo gradiva, nessuno lo considerare utile alla patria e alla spedizione. Vero. Non certo per mancanza di talento o di brillantezza, risultata evidente negli allenamenti oltre che nei due spezzoni di partita. Semmai per il comportamento che dietro le quinte non è certo da primo della classe. «Prima avete chiesto Del Piero, adesso Cassano. Forse ci vuole un po’ di equilibrio» il Ct rinfaccia alla critica, con qualche ragione, di cambiare spesso cavallo mentre lui si sente il protettore di Antonio e forse è pronto a concedergli la grande chance, contro la Francia, che fu anche la sua ultima apparizione nel settembre del 2006, a Parigi. Giocò malissimo Cassano e da quel giorno si ritirò in disparte tra litigi clamorosi con allenatori e un viaggio in Spagna che gli valse la fama di giamburrasca.
L’Italia della disperazione ha una sola carta da giocare: lui. Quella di Del Piero è da considerare, ancora una volta, una fatale illusione al ritorno da Zurigo. In azzurro, come accadde a Roberto Mancini, non gli riesce di sfondare, di vincere da solo una sfida, di fare gol che cambiano la cronaca e la storia di un torneo, mondiale o europeo che sia. «Ci può stare che Cassano giochi dall’inizio» è la frase che Donadoni spiattella prima di tornare a Baden a controllare le condizioni di Panucci, l’unico bomber in circolazione, salvando Toni dalla qualifica di traditore.
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