Ora Zapatero spaventa i Ds bloccato il suo tour in Italia

Il leader spagnolo, protagonista di scontri con la Chiesa, è una presenza ingombrante in campagna elettorale. Il Botteghino, infatti, cerca di limitare i contrasti con il Vaticano

Ora Zapatero spaventa i Ds  bloccato il suo tour in Italia

Luca Telese

da Roma

«No, tu no!», come nella canzone di Enzo Jannacci, anzi lui no, dove «Lui» è l’uomo simbolo della sinistra europea, José Luis Zapatero. La notizia, che sicuramente farà discutere, è per certi versi emblematica: i Ds preferiscono non avere in Italia il premier spagnolo. Non durante la campagna elettorale, almeno. Motivo? Una presenza troppo ingombrante, la sua, scomoda, difficile da giustificare in un momento in cui, nella speranza di vincere le elezioni, la strategia del Botteghino è cercare di smussare tutti gli elementi di contrasto con Papa Benedetto XVI e il cardinal Ruini, per recuperare i dissensi con la Chiesa sui Pacs e sulle aperture alle coppie omosessuali presenti nel programma dell’Unione.
E dire che l’occasione c’era, ed era ghiotta. Infatti Zapatero aveva mandato dei segnali di chiara disponibilità (oltre al responsabile Esteri Luciano Vecchi, lo stesso Fassino gestisce in prima persona i rapporti internazionali) a un eventuale «tour» italiano che toccasse almeno due città. E c’era anche una motivazione inattaccabile che avrebbe reso giustificato il viaggio: la pubblicazione in Italia de Il socialismo dei cittadini, il libro-intervista a cura di Marco Calamai e Aldo Garzia (Feltrinelli, 160 pagine, 18 euro). Un saggio che si è piazzato subito tra i primi 20 più venduti in Italia, e che è apparso nel nostro Paese in «anteprima mondiale» (solo adesso seguiranno altre versioni in tutto il mondo e persino in Spagna) proprio perché il premier non voleva creare dissidi fra i giornalisti spagnoli. Così la scelta è caduta su due autori italiani: Garzia è una ex firma de Il Manifesto, ex corrispondente da Cuba, grande esperto del mondo ispano-latinoamericano, Calamai è stato console in Irak ed è notissimo per la sua attività e il suo impegno nelle Ong.
Il primo a capire le potenzialità politiche e commerciali di una visita in Italia del premier più amato dalla sinistra europea era stato proprio l’editore, Carlo Feltrinelli. Insomma: la casa editrice era entusiasta, gli autori pure, Zapatero disponibile. Ma c’era un problema di metodo: non si poteva invitare un membro del Partito socialista europeo prescindendo dai Ds, che quel partito rappresentano in Italia. Ed è qui che sono iniziati i problemi organizzativi: dapprima si è concordato di far precedere l’uscita del libro al viaggio, poi si è procrastinato sulle date, alla fine è ormai certo che Zapatero non verrà, almeno fino al 9 aprile. Una scelta curiosa, quella di considerarlo una presenza scomoda, da parte dei vertici del «Botteghino», che non hanno mai avuto un buon feeling con il premier. Prima delle elezioni spagnole, nessuno in Italia scommetteva sulla sua vittoria. Quando poco prima del voto partecipò a un convegno organizzato da Italianeuropei, si verificò un infortunio, con nessuno dei leader della Quercia che trovò il tempo di assistere al suo intervento. E poi la questione irachena: mentre lui adottava la famosa linea del ritiro, l’Ulivo era ancora incerto sul da farsi, e quindi imbarazzato da quella scelta molto netta. Dopo la trionfale esibizione di Silvio Berlusconi davanti al congresso americano, sarebbe stato scontato rispondere con una visita a Zapatero, un incontro in cui trarre forza e credibilità dalla sua aura. Ma Fassino e Rutelli erano più che imbarazzati dalle manifestazioni organizzate in quei giorni dalla Chiesa spagnola contro i matrimoni gay; essere etichettati come «zapateriani», a loro avviso, si trattava di un handicap. Così si è arrivati al paradosso che l’unico leader volato a Madrid in questi giorni è il sindaco di Roma Walter Veltroni, uno che al ritorno ha detto: «Non è mica il demonio!».

Peggio ancora Romano Prodi, che quando ha dovuto scegliere uno sponsor eccellente europeo non è andato da Tony Blair ma dall’ex cancelliere (di centrodestra) Helmut Kohl, invitato in Italia con tutti gli onori. Nemo profeta in patria, si dice. Ma stavolta nemmeno fuori.

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