Mariateresa Conti
da Palermo
C'è il «giallo» dell'identità del numero cinque, la cifra con cui prima del suo arresto veniva identificato Ciccio Pastoia, suo fedelissimo trovato morto in cella, un suicidio sul quale ci sono non poche perplessità. Ci sono i contatti diretti con altri due superlatitanti doc, Salvatore Lo Piccolo e quel Matteo Messina Denaro ritenuto il suo vero successore. E poi ci sono altri numeri, da 2 a 164, tutti con relative «specializzazioni»: c'è chi si occupa di appalti pubblici, chi di estorsioni ai negozi, chi, ancora, di problemi pratici quali la raccomandazione per un posto di lavoro. Cifre e lettere, lettere e ancora cifre, sulla base di un codice - è una delle ipotesi - che non è ancora stato trovato ma che potrebbe essere basato sulla Bibbia tanto cara al superboss, quella consunta e piena di annotazioni trovata nel covo di Montagna dei Cavalli, a Corleone. Un rompicapo. Un rompicapo che, si spera di risolvere anche grazie all'aiuto dell'informatica, attraverso confronti incrociati e ricorrenze di lettere e vocaboli.
È un lavoro certosino quello che gli inquirenti stanno portando avanti sugli oltre 300 «pizzini» - i bigliettini di carta da sempre utilizzati dal boss per comunicare - trovati nell'ultimo rifugio di Bernardo Provenzano, nella masseria di Corleone. Un sofisticato lavoro di intelligence, nella speranza di ricostruire praticamente in tempo reale l'organigramma attuale di Cosa nostra, quello che Provenzano guidava con i suoi ordini dalla latitanza. Oltre 300 pizzini, si diceva. Divisibili, per grandi linee, in varie categorie: quelli vergati a penna e quelli scritti a macchina, quelli scritti con la Olivetti lettera 32 rinvenuta nel casolare e quelli figli della macchina da scrivere elettrica; e ancora, i pizzini numerati e quelli non numerati. Una cosa è sicuramente chiara: Provenzano a se stesso aveva riservato il numero 1. Di qui una maggiore facilità di lettura di quei bigliettini in cui questa cifra compare.
Il codice, come si diceva, non è stato decriptato. E gli inquirenti sono certi che da qualche parte ci sia un «traduttore», considerato che Provenzano stesso ammette, in uno dei suoi pizzini, che «la memoria non mi aiuta più come prima». Ma qualcosa si comincia a intuire. Chiarissima, ad esempio, è la corrispondenza con Matteo Messina Denaro. Il boss trapanese, che si firma con lo pseudonimo Alessio, tratta con deferenza il capo più anziano. Ribadisce più volte di essere «a completa disposizione», chiede consigli anche per trattare affari, come l'estorsione a una catena di supermercati dell'Agrigentino, a una pompa di benzina della provincia di Trapani. «In lei - scrive in una delle missive trovate, vergate al computer ma firmata a penna - ripongo fiducia, onestà e capacità, quello che prima per me era T. T. R
». Una sigla che, gli investigatori ne sono certi, sta per Totò Riina. A proposito di Riina, il latitante Matteo Messina Denaro non tralascia di informare Provenzano che «T. T. R. mi ha scritto», il che, considerato che Riina è in carcere dal '93 e per di più in regime di 41 bis, lascia quantomeno pensare. E le considerazioni si allargano anche alla politica, in relazione all'accelerazione di una pratica: «Ci sarebbe bisogno di un interessamento politico per accelerare i tempi - scrive "Alessio" - ma lei sa che quelli non fanno niente per niente e in questo momento con loro non abbiamo grande potere contrattuale. Dobbiamo trovare uno pulito», (alias un politico affidabile che possa lavorare senza il fiato sul collo degli investigatori).
Tornando ai pizzini più generici, la «traduzione» dei numeri in nomi e cognomi è la sfida contro il tempo che gli investigatori stanno cercando di vincere. Alcuni messaggi sono brevissimi: «C'è 4 (un pezzo grosso, se davvero le cifre sono anche indicative della gerarchia, ndr) che chiede di vederti»; oppure «21 è interessato alla strada e chiede come stanno le cose»; o ancora «8 e 10 si sono parlati, e adesso è tutto a posto». Infine, la corrispondenza di carattere familiare.
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