Ore 21: «Sì, accettiamo» Finita l’odissea degli esuli

Nella trattativa decisiva la fermezza del questore Scarpis

Roberto Bonizzi

Alle 21 il capannello in piazza Duomo agita teste e braccia in sincronia. Ci sono i rappresentanti del Comune, una delegazione dei profughi, gli interpreti. «È fatta, hanno accettato», la voce si diffonde. Si rigano le guance di Harib, un eritreo grande e grosso che trema stretto in una giacca a vento lisa. Con le lacrime scorrono via tre giorni e due notti di rabbia e gioia, freddo e lunghe marce, accordi e netti rifiuti, incomprensioni e strumentalizzazioni, pasti saltati e sonno arretrato.
«La soluzione è identica quella già prospettata dal prefetto la mattina di martedì, dopo lo sgombero» commenta Andrea Fanzago, consigliere comunale della Margherita che ha seguito l’intera vicenda. La proposta dell’assessore ai Servizi sociali Tiziana Maiolo alla fine ha convinto tutti. Gli etiopi, 57 in totale, sono già da mercoledì mattina nel villaggio di container di via Ludovico di Breme. E a loro si sono aggiunti ieri sera altri 12 connazionali. Sono saliti sui pullman diretti al dormitorio di viale Ortles i 67 sudanesi. Mentre si sono divisi tra via Pucci (48) e via Anfossi (50) i rifugiati di nazionalità eritrea, i più restii ad accettare. Le donne, solo per la prima notte, sono state ospitate nel centro di accoglienza di via Sammartini, ma domani raggiungeranno i compagni. La Provincia ha garantito con un impegno scritto la ricerca di una soluzione definitiva per il medio e lungo periodo, a partire dal 10 gennaio, e l’attivazione del percorso di integrazione.
L’accordo è arrivato in serata grazie alla mediazione tra Comune e Provincia operata dal prefetto, Gian Valerio Lombardi. Decisivo anche l’intervento del questore Paolo Scarpis che ha fatto la sua parte incontrando, alle 15,30, una delegazione di immigrati in piazza Duomo e ribadendo: «I posti sono quelli offerti dal Comune, altri non ce ne sono. Per fortuna i posti disponibili sono molti più di quelli necessari, quindi potrete scegliere quelli migliori lasciando da parte quelli che giudicherete peggiori. E, insieme ai posti letto, partiranno i percorsi di accoglienza e i progetti a lungo termine, ma così non si può andare avanti. Entro stasera dovrete decidere». Poi, sconsolato, si rivolge ai giornalisti: «Loro non accettano niente, rifiutano tutto, direbbero no pure all’hotel Hilton».
Fondamentali per sbloccare l’impasse, qualche minuto dopo, gli incontri separati tenuti dai rappresentanti di Comune e Provincia con due delegazioni di immigrati. In nome della ritrovata concordia istituzionale, auspicata dal prefetto Lombardi dopo lo scontro di mercoledì sera. Proposte e impegni combinati, gli alloggi e l’impegno sui tempi di gestione della crisi, hanno portato alla soluzione del caso. Anche se, comunque, le discussioni in piazza Duomo si sono protratte per oltre un’ora con qualche problema di traduzione che ha rischiato di compromettere, ancora una volta, il lavoro paziente di istituzioni e volontari delle associazioni. Dopo le strette di mano si sono spenti i fuochi accesi sul sagrato della piazza e, scortati dalle forze dell’ordine, i profughi hanno raggiunto i ricoveri per passare la notte al caldo.
E pensare che la giornata si era aperta con l’ennesimo colpo di scena. Sgomberate la sala consiliare e tutto il piano terreno di Palazzo Isimbardi, il gruppo esce in via Vivaio. Poi, rifiutata la proposta delle associazioni di un’assemblea alla Camera del lavoro, si incammina verso piazza Duomo. In via Borgogna il corteo, che procede di corsa, si scontra con i cordoni delle forze dell’ordine. Tafferugli e attimi di tensione, poi i manifestanti raggiungono la meta scandendo slogan inneggianti alla casa. Una volta sistemati sul sagrato, i profughi si attrezzano per passare un’altra giornata all’aperto. Nel frattempo i volontari del 118 intervengono per trasportare in ospedale Muhammar, un giovane sudanese, che ha avuto un collasso (è ricoverato alla Macedonio Melloni) e Sara, una piccola eritrea con un principio di broncopolmonite, visitata e dimessa alla clinica De Marchi.
In piazza gli immigrati si danno da fare preparando striscioni e cartelli per far conoscere la loro situazione ai milanesi di passaggio e ai turisti curiosi. «Siamo rifugiati politici di Sudan, Eritrea ed Etiopia. Siamo scappati dalla guerra per essere maltrattati in Italia, vogliamo una casa». Poi, ai più interessati, i profughi raccontano le loro storie. Di piste nel deserto, di barconi dalla Libia, di mesi passati in Sicilia prima del trasferimento a Milano. Qualcuno ascolta e porta qualcosa da mangiare, candele, guanti. Altri scuotono la testa: «Ma se la casa non ce l’hanno nemmeno gli italiani, cosa pretendono questi».
Con il passare delle ore il freddo aumenta. La trattativa prima si rompe definitivamente, poi sembra vicina alla conclusione, ma si arena nuovamente proprio mentre filtrano le prime indiscrezioni sull’accordo raggiunto. Quindi il sì definitivo.

All’ora della buona notte, quando tutti i rifugiati hanno già raggiunto i luoghi di destinazione, scoppia già il primo caso. I sudanesi, in viale Ortles, protestano con la direttrice perché sono stati divisi in tre palazzine diverse. Domani saranno riuniti. Comunque, sempre meglio che piazza Duomo.

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