Orgoglio Pdl alle Stelline con ministri e militanti: «Milano pronta al voto»

«Centocinque procedimenti giudiziari, 530 perquisizioni, mille magistrati impegnati e 28 processi. Il risultato? Nessuna condanna. Archiviazioni, prescrizioni e solo quattro procedimenti ancora aperti. Più quest’ultimo. Il che mi è già costato 300 milioni di euro in avvocati e consulenti. Oltre a un sacco di tempo sprecato e a tanta cattiva stampa che non fa bene all’Italia. Sia qui che all’estero». La sala esplode. Di applausi e «Forza Silvio» delle più di mille persone pigiate nello stanzone lungo e caldissimo delle Stelline scelto dal questore della Camera Francesco Colucci e dal figlio assessore Alessandro per chiamare a raccolta quelli di «Noi riformatori», la componente ex socialista del centrodestra. «Io non fuggo e non mi dimetto», assicura Berlusconi denunciando di aver «subito un’aggressione, quella che non era riuscita ai magistrati nel ’94». Ma «vi sembra normale che il presidente del Consiglio sia sottoposto a uno spionaggio del genere?». Accuse pesanti. «Mi girerebbero le balle a me - sbotta una sciura seduta in poltrona - figurati a lui».
Si doveva parlare di riforme, inevitabile disinnescare il «caso Ruby». Anche se le due cose non sono così lontane, dato che Berlusconi e tutti i relatori sono convinti che «per il bene del Paese bisogna portare a termine la riforma della giustizia». E dal palco il mattatore è proprio il ministro della Giustizia. Competente e brillante. «Basta - dà fuoco alla platea Angelino Alfano - con l’insopportabile ipocrisia di queste vestali della virtù che, dopo aver razzolato male, adesso ci vogliono fare pure la predica. La sinistra italiana non può insegnarci nulla». Con Fabrizio Cicchitto che ricorda quando il Pci «prendeva i rubli di Mosca, mentre la Russia era nemico dichiarato dell’Occidente democratico». E oggi, ironizza Alfano, «vorrebbero appendere il Paese a un raffinato intellettuale come il pentito Spatuzza, alla D’Addario, a Noemi e oggi pure a Ruby». Di voto nemmeno a parlarne. «Perché hanno paura, preferiscono il ribaltone. Ma perché Bersani invece di cercare dieci milioni di firme per mandare a casa Berlusconi, non prova invece a prendere dieci milioni di voti? Perché sa che non ce la fa». Per il ministro Mariastella Gelmini (applauditissima per la sua riforma di scuola e università) «oggi è in gioco la democrazia e la stabilità del sistema, ci sono troppi tentativi di rovesciare il voto popolare». La magistratura? «Troppi politici ne hanno paura. Se vuole un giudice ti può distruggere la vita. Ricordate il bacio di Totò Riina ad Andreotti? Una bufala, eppure Andreotti sparì. E Calogero Mannino? Assolto. Ma solo dopo tanta sofferenza». Il governatore Roberto Formigoni, a proposito del caso Minetti, la consigliera regionale coinvolta nelle intercettazioni, parla dei «politici presuntuosi della sinistra che vogliono giudicare prima della magistratura». E così «Berlusconi ha il diritto di difendersi dalle accuse infamanti lanciate in maniera preventiva contro di lui». E ricorda come «le parole del Papa siano un invito e un richiamo per tutti». Per cambiare l’Italia, argomenta pacato il vicecapogruppo del Pdl al senato Gaetano Quagliarello ricordando «il dramma di Bettino Craxi», manca «una riforma indispensabile: quella della giustizia, senza la quale il sistema non avrà una sua stabilità. Dobbiamo salvare l’autonomia della politica dall’attacco di un altro potere».

E ricorda quella parte di magistrati «che ogni giorno fa il suo dovere». Mentre il coordinatore regionale del Pdl Guido Podestà denuncia la macchinazione mediatico-giudiziaria quando stiamo per realizzare una riforma fondamentale come il federalismo».

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