Ma ormai è tardi per spegnere il fuoco

Ma ormai è tardi per spegnere il fuoco

E che altro doveva accadere se non che Shimon Peres, divenisse finalmente, com’è avvenuto ieri, primo cittadino di Israele? Che altro, se non che Ehud Barak, ex primo ministro e capo di Stato maggiore, fosse eletto martedì capo della sinistra, pronto a sostituire finalmente Peretz nel ruolo di ministro della Difesa e domani in quello di candidato a Primo ministro, l’unico che possa battersi con Netanyahu? E infine, in questi giorni in cui alcune ineluttabili verità si sono condensate in un appuntamento già fissato con la storia, che altro poteva accadere, se non la deflagrazione palestinese dovuta alla presenza di una forza integralista islamica al potere fra i palestinesi, e nella parte a essa opposta, allo spappolamento morale e all’inferocimento di Fatah a causa del regno di Arafat e della sua Intifada del terrorismo suicida?
C’è una logica molto moderna in quello che accade, carica di presagi di cui tener conto. Peres a 84 anni, figlio spirituale di Ben Gurion, padre sia delle strutture atomiche israliane che del processo di pace, farà nel suo nuovo ruolo di cui ha subito sottolineato la apoliticità, una quantità di politica: passi verso accordi anche temporanei, che dispiaceranno alla destra, ma che salvaguarderanno l’immagine di un Paese in pericolo di vita, che ha bisogno di consenso di fronte all’aggressione islamista iraniana; Barak, rimetterà in onore a sinistra le politiche di deterrenza, laddove invece ci si è alquanto spenzolati verso partner inesistenti incapaci di prevedere che l’Iran, gli hezbollah, Hamas fossero tanto pericolosi. E i palestinesi... qui sta il punto davvero dolente e fatale.
Quello che sta accadendo in queste ore prelude alla conquista di Gaza da parte di Hamas, più forte militarmente di Fatah. Il terremoto sta già scuotendo anche il West Bank, che, anche se Fatah resterà nei Territori, avrà una porosità maggiore al terrorismo proveniente dal nord, quello che viene da Damasco e dal Libano. Via le prospettive di accordi prossimi venturi con Israele, via la speranza alimentata oltre la ragione che Hamas nascondesse una natura mite che sarebbe venuta fuori col potere; e che Abu Mazen potesse regnare su una situazione in cui invece la furia islamista si è presentata intera e ha sbaraccato ogni residuo di vecchio nazionalismo; e via anche l’idea che l’Egitto, la Giordania e anche l’Arabia Saudita abbiano voglia di prendere per le corna il toro di Hamas. Più di tutto, la pena per la sorte dei palestinesi, che abbiamo visto avviarsi in fuga su vecchi taxi verso il passaggio di Rafiah che porta in Egitto, non deve obliare che Hamas, con tutta la sua crudeltà, è cresciuta a dismisura proprio nella balorda credenza, anche italiana, che potesse convertirsi; anche gli uomini di Fatah hanno ricevuto armi e denaro da parte europea e anche americana nell’illusione che potessero domare Khaled Mashaal. Non vogliamo certo maramaldeggiare, ma è indispensabile osservare la dinamica interna degli scontri di questi giorni per potere più avanti essere utili nel superarla. Guardiamo dunque alla condanna dell’Human Rights Watch di «gruppi armati palestinesi», una vera novità nell’ambito delle decisioni delle ong sempre e soltanto antisraeliane: sono state compiute, ha detto l’ong, violazioni dei diritti umani e anche crimini di guerra.
Basta pensare agli edifici pubblici e alle case private incendiati, agli autentici bombardamenti di razzi katiusha e Nun Tet lanciati da Hamas e da Fatah su moschee e ospedali, alla gente rinchiusa in casa in preda al terrore. Racconta Khaled Abu Toameh, giornalista palestinese, che Jamal Abu Jadian, leader di Fatah, vestito da donna, è fuggito con la famiglia dalla casa assediata da Hamas; ferito, giunto all’ospedale, Kamal Udwan, dove voleva farsi medicare insieme ai suoi, quaranta pallottole gli hanno letteralmente fatto volare via la testa. Muhammed al Ra’fati, predicatore di una Moschea in odore di Hamas, è stato sequestrato e ucciso a sangue freddo. Uomini di Fatah hanno assediato moschee di Hamas, e Hamas le moschee di Fatah. In uno scontro a fuoco con le finestre di un ospedale pieno fino all’incredibile di gente ferita e moribonda (uno dei tanti) c’è stato un morto di Fatah e uno di Hamas. Il cuoco ventottenne della guardia presidenziale di Abu mazen, Muhammad Swairki, è volato dal quindicesimo piano.
Gli egiziani intenti alla mediazione, i quali temono che la situazione di Gaza possa creare idee sbagliate nella loro Fratellanza Islamica e in Al Qaida che si aggira per il Sinai, denunciano «alcune modalità dello scontro simili a quelle irachene», in particolare la mutilazione dei corpi segnalerebbe la presenza dei seguaci di Bin Laden. Ed è del tutto evidente agli analisti che il fuoco è tenuto al calor bianco dalla solita impresa Iran-Siria-Hezbollah-Hamas che ne fa un’arma di ricatto verso tutto il mondo. L’ambito culturale dunque di queste imprese, l’abiezione morale delle operazioni di guerra che infieriscono su donne e bambini dei campi avversi, non potevano altro che portare, in una di quelle consuete imprese che cercano di provocare Israele per ricompattare i palestinesi, all’attentato terrorista andato a vuoto quando ieri al varco di Erez sono state arrestate due aspiranti terroriste suicide armate di cintura dirette a Natania e a Tel Aviv, una di 30 anni, madre di 4 bambini e l’altra di 39, madre di 9, incinta, ambedue in possesso di documenti che permettevano loro di andare a farsi curare in ospedali israeliani, come vuole la legge di Israele. Madri, incinte, con falsi documenti umanitari... è orribile, ma si tratta della morale religiosa messianica e integralista che del resto mostra il popolare videoclip della tv palestinese, uno dei tanti, in cui una madre si fa saltare per aria, e i suoi bambini sono contenti perché la rivedranno in cielo.
L’ispirazione dei guerrieri di Fatah e di Hamas, anche se ci sono evidenti differenze fra di loro, è tuttavia identica quando si pensa che la cultura più diffusa in questi anni è stata quella del selvaggio uso della violenza contro i civili. Mi si chiede se l’elezione di Peres potrà avere un’influenza benefica sull’area. Potrà far piacere.

Ma né Peres né Barak né nessun altro attore internazionale possono oggi aiutare i palestinesi se restano chiusi, Fatah e Hamas insieme, in un mondo votato alla guerra, alla distruzione di Israele, e nel caso di Hamas, dell’Occidente. E ci dispiace.

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