Orsini a Rebibbia con la «Ballata» di Oscar Wilde

I detenuti hanno dato un saggio della loro interpretazione della «Tempesta» di Shakespeare nell’allestimento diCavalli

Pier Francesco Borgia

Chissà come commenterebbe Oscar Wilde la performance che Umberto Orsini (insieme con Giovanna Marini) ha offerto ieri pomeriggio ai detenuti della casa circondariale di Rebibbia. Si è trattato soltanto di un breve estratto dello spettacolo tratto dalla celeberrima Ballata del carcere di Reading che da questa sera - e fino a venerdì - sotto la regia di Elio De Capitani verrà offerta al pubblico del teatro Eliseo. La Ballata venne pubblicata a Londra sotto pseudonimo (C33, ovvero la matricola del detenuto Wilde rinchiuso per due anni nel carcere di Reading per «comportamento contrario alla morale pubblica»). Si tratta di uno dei più incisivi atti d’accusa contro un sistema carcerario che avevo come suo unico obiettivo quello di negare qualsiasi forma di compassione verso i detenuti.
Il corto circuito emotivo era pronosticabile. Rimane comunque uno spettacolo davvero suggestivo ascoltare la voce di Orsini che parla a una platea composta soprattutto da agenti di polizia penitenziaria e detenuti. Una voce particolare e suadente che dà corpo ai destini di antieroi e a tragedie inimmaginabili che si chiudono, e letteralmente soffocano, inascoltate all’interno delle mura di un penitenziario.
Da sempre - però - il teatro è soprattutto partecipazione. Ed è sul palcoscenico che si può ottenere un adeguato riscatto al dolore della vita. Un riscatto che esorcizza nuove paure e antiche frustrazioni. Ecco perché il recital di Orsini e della Marini (che accompagna alla chitarra le parole di Wilde con composizioni originali che traggono spunto direttamente dalla tradizione folklorica irlandese dell’Ottocento) è stato soltanto uno dei momenti che hanno impreziosito l’incontro. I detenuti di Rebibbia, infatti, hanno mostrato ai «colleghi» professionisti un piccolo saggio delle loro capacità. Ripetendo per il pubblico alcuni brani della Tempesta di Shakespeare nella traduzione in napoletano antico firmata a suo tempo da Eduardo De Filippo. Sotto la direzione del bravo Fabio Cavalli i detenuti-attori si sono mostrati nella loro seconda identità. Ariele, Prospero, Calibano e compagni hanno fatto dimenticare la loro condizione, ma soprattutto hanno di fatto annullato la cornice che li conteneva. La loro bravura (per non dire di quella del regista) e il loro impegno possono tranquillamente competere con le compagnie professioniste e le repliche della Tempesta (che per evidenti motivi si svolgono per adesso soltanto a Rebibbia) hanno ricevuto consensi unanimi da un selezionato pubblico di addetti ai lavori. «Il teatro è terapeutico per chiunque abbia interessi spirituali - commenta Orsini -. È una valvola di attenzione e di sicurezza. Pensare che uomini non attori diventino tali in carcere è importante e questo pomeriggio (ieri, ndr) lo è altrettanto. La lirica straziante di Oscar Wilde è inevitabilmente adatta per fare da specchio tra la realtà del palcoscenico e quella di una platea particolare come questa». «Il teatro italiano è sempre più in crisi - commenta Antonio Calbi, direttore artistico del teatro Eliseo -.

Questo è frutto di produzioni sempre meno interpretative e sempre più autoreferenziali; per questo sono importanti due spettacoli come quelli visti qui a Rebibbia: quello di Wilde che racconta la sofferenza di un detenuto per omicidio, opera che ritrova così il suo contesto ideale; e quello di Shakespeare, interpretato dai detenuti e dove si sente forte lo spirito e la voglia di emozioni e sentimenti che gli attori stessi vogliono presentare agli spettatori».

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