Gianandrea Zagato
Ospitare i genitori dei «prodi autonomi» è stato un «errore». Ammissione di Filippo Penati, presidente della Provincia, per la concessione di quella sala di via Vivaio che, ieri, è stata offerta a chi difende gli arrestati per le violenze commesse in corso Buenos Aires. «Meglio sarebbe stato concedere un altro spazio» osserva Penati, mentre Vincenzo Ortolina, presidente del consiglio, garantisce che «in futuro» saranno «meglio valutate» le concessioni della sala. Botta e risposta che «lascia inalterata lindignazione di An per lutilizzo di quella sala - intitolata al consigliere missino Enrico Pedenovi ucciso da Prima linea - a chi, l11 marzo, ha usato la stessa violenza» ripete Paola Frassinetti.
Già, anche il difensore dei venticinque autonomi detenuti a San Vittore, Mirko Mazzali, sa quello che è successo in corso Buenos Aires. «Il video lho visto anchio» sottolinea il legale. E «il video» sono frammenti di una città messa a ferro e fuoco dai no global che, come scrive nellordinanza dellarresto il gip Enrico Manzi, hanno operato «una sistematica devastazione di luoghi, distruggendo le vetrine di esercizi e appiccando le fiamme a una sede di An».
Ma il legale avverte che a lui «non interessa quello che è successo lì» bensì dimostrare che «questo è uno dei più grandi bluff della storia giudiziaria»: ergo, «non vediamo lora di andare a processo». Affermazione che i genitori dei giovani finiti dietro le sbarre condiscono con la «condanna di ogni forma di violenza», con la valutazione - «eccessive» - delle misure cautelari e, attenzione, con una lamentela, «possiamo vedere i nostri figli solo sei ore al mese». Dettagli offerti ai cronisti dalle mamme e dai papà degli arrestati per far sapere che, sabato, alle 15 saranno in testa al corteo pro-scarcerazione promosso dai centri sociali. Appuntamento con la convinzione che se i figli sono ancora in carcere - a San Vittore e a Bollate - è perché «gli hanno voluto dare una lezione»: «Si tratta di persone che fino al giorno prima erano impegnate a scuola e al lavoro».
Tesi legal-familiare che oscura quanto il gip Manzi riporta nella sua ordinanza a proposito dei manifestanti, quasi tutti gli arrestati, fermati al civico 15 di Buenos Aires: «A seguito di irruzione in portone di detto civico, i militari notavano che i giovani asserragliati abbandonavano a terra corpi contundenti e armi improprie». Quali? «Manici di accetta, scudi di protezione, pietre, un chilogrammo di chiodi da carpentiere, un tubo metallico di 23 cm utilizzabile come spranga, vari mephisto». Elenchino non dettato ai cronisti.
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