Ostaggio francese liberato in Irak

Ostaggio francese liberato in Irak

Andrea Nativi

È stato liberato uno degli ostaggi nelle mani dei guerriglieri iracheni. Si tratta dell’ingegnere francese Bernard Planche, rapito il 5 dicembre a Bagdad. Ma la buona notizia è stata funestata da un week-end tra i più sanguinosi per le forze militari statunitensi, che hanno subìto 17 morti in tre diversi episodi, il più grave dei quali riguarda un elicottero Black Hawk, precipitato al suolo, non si sa se per attacco, errore di pilotaggio o avaria, provocando la morte dei dodici americani a bordo.
La liberazione dell’ostaggio è avvenuta sabato, in conseguenza della pressione sempre più forte esercitata dai soldati della coalizione e dalle truppe irachene, sulle tracce dei rapitori, il sedicente gruppo della «Brigata dei vigilanti sull’Irak». Le forze alleate hanno individuato la fattoria dove era rinchiuso Planche, ad ovest della capitale. I rapitori, per evitare la cattura, sono scappati con il prigioniero, forse per raggiungere un nuovo rifugio, ma, secondo la ricostruzione americana, hanno scorto un posto di blocco statunitense e hanno preferito abbandonare il prigioniero e dileguarsi.
Planche è stato sottoposto a controlli medici a Camp Liberty, una installazione militare a Bagdad, prima del rientro in Francia. Planche presta la sua opera per la Ong Aaccess e si stava occupando di un impianto di depurazione dell’acqua nella parte orientale della capitale prima di essere prelevato dalla sua abitazione oltre un mese fa. I rapitori forse puntavano ai soldi, visto che la richiesta «politica», il ritiro delle forze francesi dal Paese, era priva di senso, dal momento che Parigi non ha soldati in Irak.
Complessivamente in due anni sono stati oltre 250 gli uomini e le donne rapiti in Irak, l’ultimo episodio riguarda la giornalista americana Jill Carroll. E spesso queste avventure si concludono tragicamente.
Il fine settimana ha anche portato l’ennesima tragedia per le forze americane, che già giovedì avevano subito undici caduti in azione, il numero di perdite più elevato negli ultimi mesi. E il periodo negativo continua.
Tra sabato e domenica sono deceduti altri diciassette americani. Tre marines sono caduti in combattimento nei pressi di Falluja domenica, in un episodio che dimostra come alcuni gruppi iracheni non esitino a ingaggiare le forze americane quando le condizioni lo consentono. Sono proprio questi i nemici più professionali e pericolosi. Altri due marines invece sono stati vittime di bombe stradali improvvisate, l’arma più letale nell’arsenale della guerriglia.
L’elicottero UH-60 precipitato faceva invece parte di una formazione di due velivoli in volo di trasferimento notturno tra due basi militari. Intorno alla mezzanotte di sabato uno dei due elicotteri ha cessato di comunicare. Subito è scattata una imponente operazione di ricerca e soccorso, protrattasi per dodici ore e purtroppo rivelatasi inutile, perché quando il relitto dell’UH-60 è stato rinvenuto, in una zona deserta e disabitata, si è solo potuto constatare la morte di tutti gli occupanti, quattro uomini di equipaggio e otto passeggeri.
L’elicottero è caduto nel Nord del Paese, dodici chilometri a Nord della città di Talafar, nelle vicinanza del confine siriano, in un’area dove la guerriglia è particolarmente attiva. Visto che l’incidente si è verificato di notte l’ipotesi di un attacco della guerriglia è meno probabile. Per di più nella regione le condizione meteo erano avverse. La commissione di inchiesta accerterà se si è trattato di un incidente e cosa lo ha provocato.

Gli Usa hanno perso in Irak da marzo 2003 circa 25 elicotteri a causa del fuoco nemico, incidenti, avarie. Non di meno l’elicottero è un mezzo insostituibile in un teatro come quello iracheno, dove svolge una infinità di ruoli.

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