Mica facile dire Mina. Dipende a quale Mina si pensa, perché ciascuno ha la propria: l'interprete, la ribelle, la prima a giocare con la propria immagine e la prima a eliminarla per sempre. Il 25 marzo Mina Anna Maria Mazzini compirà ottant'anni ma per tutti è senza età. La sua voce, quella che persino Sarah Vaughan invidiava, è rimasta identica a come la sentiamo in Tintarella di luna, sessant'anni fa esatti. E il suo aspetto, boh. Non ci sono foto ufficiali da tanto tempo, soltanto scatti rubacchiati qui e là, un caso unico al mondo che resterà tale perché oggi, se non ci metti la faccia, non esisti. Lei esiste lo stesso, un disco all'anno, di ogni genere, l'ultimo con Ivano Fossati tanto per gradire.
Quando cantò per la prima volta in pubblico, nell'estate 1958 alla Bussola di Marina di Pietrasanta, faticò a scendere dal palco. Vent'anni dopo ne è scesa per l'ultima volta, sempre lì vicino alla Bussoladomani e da allora basta, lo sappiamo tutti. Era «avanti» allora perché nessuno l'aveva mai fatto e chi l'ha fatto ci ha sempre ripensato.
Ed è «avanti» anche oggi perché, nell'epoca dell'immagine a tutti i costi, nessuno si sognerebbe di sparire. Anche se sei Mina, adesso o appari in tv e sui social oppure ciao. O fai concerti oppure con i dischi difficilmente mantieni il pubblico e il tenore di vita. E invece. Lei non ha mai scritto una canzone eppure le canzoni che hanno scritto per lei è come se fossero sempre state sue. Il prodigio dell'interprete perfetto. Come racconta spesso suo figlio Massimiliano Pani, per Mina in studio di registrazione è quasi sempre «buona la prima». Lei studia la canzone, la prova, la pensa e ci ripensa et voilà: la canta e va bene subito. Forse per questo ognuno di noi, generazioni di figli adottivi di Mina, ha un'idea diversa di questa «lungagnona» (ipse dixit), un'idea che Luca Cerchiari spiega bene in Mina. Una voce universale (Mondadori, pagg. 456, euro 20).
C'è chi si riconosce nell'irruente provocazione gestuale de Le mille bolle blu, con le dita che roteavano sulle labbra. Figurarsi, era il Sanremo 1961 (il suo ultimo) e il pensiero più comune era che lei avesse voluto prendere in giro il pubblico, pensate un po'. C'è chi la ricorda per il gesto provocatorio di avere un figlio, Massimiliano, da un uomo formalmente sposato con un'altra donna, roba che nel 1963 diventò una bomba atomica nel nostro costume. Una foto del settimanale Epoca la ritrasse incinta mentre rideva e sotto c'era la didascalia «Cosa avrà da ridere?». Mina a Playboy confermò che «me la ricorderò tutta la vita una cosa del genere». Quella fu una delle scintille che pian piano scatenò l'incendio. Fatta apposta per suscitare interesse, lei così bella e così brava e così anticonvenzionale, fu mitragliata dai paparazzi e dalle insinuazioni. Oggi è la regola e quasi tutti gli artisti sono obbligati, magari a fatica, a farsi gli anticorpi. Allora no. E quindi la Mina peccatrice, la Mina sovrappeso, la Mina diva e la Mina odiosa con i colleghi iniziarono ben presto a coprire l'unica vera Mina, ossia quella brava e «solitaria», come il secondo gruppo della sua carriera, quei Solitari fondati a Cremona nell'inverno del 1958.
Intanto lei era passata dal rock'n'roll urlato alla canzone d'autore prima di arrivare al jazz e al soul. In tv, poi, era una superstar già dai tempi del primo Studio Uno di Antonello Falqui nel 1961 e figurarsi poi a Canzonissima con Walter Chari e Paolo Panelli (1968) oppure a Teatro 10 del 1972, specialmente in quei nove minuti di duetto con Lucio Battisti che cambiarono la nostra canzone e anche un certo modo di fare televisione. Proprio in quell'anno Mina, che era diventata mamma anche di Benedetta, aveva annunciato l'addio alle scene che poi, un concerto qui e un disco là, diventò effettivo soltanto sei anni dopo. Quella sera sul palco dellla Bussoladomani prima di lei salì un comico perché ogni serata era aperta da un artista della risata. Walter Chiari. Gino Bramieri. La Smorfia. E quella sera, quasi per un perfido gioco del destino, toccò a Beppe Grillo. Fu l'ultimo concerto di Mina, quarantadue anni fa. Da allora, per circa venti anni, ciclicamente si sono alternate voci su di un suo possibile ritorno in scena, sempre più rare, sempre meno credibili. L'ultima volta, quando si è parlato di lei come direttore artistico all'ultimo Sanremo, ci hanno creduto in pochi. Lei a selezionare i cantanti di Sanremo. Proprio lei che, dopo l'ultima volta nel 1961, giurò che non avrebbe più fatto parte di gare canore. E proprio questa coerenza estrema l'ha conservata giovane per sempre. Mina incide regolarmente un disco all'anno, che ogni volta diventa un evento. Merito delle canzoni, spesso chieste ad autori imprevedibili oppure scelte nel repertorio di artisti lontanissimi per età, stile, genere musicale. E merito anche dell'immagine ormai sublimata che questa artista è riuscita a costruirsi ben prima di tante altre, da Lady Gaga in avanti.
Certo, c'è sempre la firma di Mauro Balletti, che ha preparato la prima copertina di Mina nel 1973 e da allora l'ha rielaborata decine, centinaia di volte, trasformando «la tigre di Cremona» in un mutante favoloso e fascinoso, capace di deformarsi senza perdere i propri connotati. Anche per questo, a ottant'anni, oggi Mina Mazzini rimane senza età, perché ognuno di noi le dà quella che vuole, giovane o vecchia ma comunque eterna.
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