Otto anni per smontare il castello di accuse nel caso del corpo sparito

Il processo è stato il processo delle suggestioni. Ma l’imputato è stato un imputato vero. Almeno dal 2002 al 2010. Tanto è durato l’incubo in cui, tra sospetti, carcerazioni e accuse mediatiche, è piombato Sandro Vecchiarelli di Dervio, un paesino nel Lecchese. Indicato, a torto, come responsabile di un omicidio volontario, quello di Chiara Bariffi, una ragazza di Bellano, e dell’occultamento del suo cadavere. «Non posso nascondere che Chiara mi piacesse ma siamo sempre stati solo amici». E, in verità, non si dovrebbe venire accusati di omicidio solo per avere avuto una buona amicizia con una ragazza tragicamente e morta in modo rocambolesco quanto misterioso e ritrovata cadavere nell’auto in fondo al Lago di Como. No, non si dovrebbe. Ma se nell’ordinanza di custodia cautelare che porta Sandro Vecchiarelli nel carcere di massima sicurezza di Monza ci sono un sfilza di magari e di probabilmente, allora tutto può cambiare. Anche la vita di un uomo innocente può cambiare.

Tanto da diventare per 584 giorni la vita di un uomo dietro le sbarre che, in 560 fogli, già, quasi uno per ogni giorno di detenzione annota, in un vero e proprio memoriale, ricordi e dettagli, anche minimi che possano aiutare a dimostrare la sua innocenza. Un memoriale che il suo legale, Marcello Perillo, ha voluto rendere noto solo dopo che tutte le testimonianze hanno rivelato la loro inconsistenza davanti ad una Corte.

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