Otto indagati per la strage sul treno

L’Alto Adige si segna a lutto, piange in silenzio quelle sue nove vite spezzate in una placida mattina di primavera e si chiede ancora perché.
La strada ferrata che profuma di mele è chiusa, lì tecnici, protezione civile e vigili del fuoco dopo una giornata passata a contare morti e feriti ora lavorano per riaprire quel varco sottile che si inerpica lungo la montagna della Val Venosta. Ci sono quasi mille litri di carburante nei resti del regionale «108» deragliato investito da una frana, uno dei vanti dell’Alto Adige, una delle littorine più moderne d’Italia. Distrutta da un tubo d’irrigazione che perdeva. Anzi da una minuscola valvola difettosa. L’acqua che pian piano fuoriesce, inzuppa i frutteti a terrazza, il terreno che si trasforma in una gigantesca valanga di fango. Come una bomba.
Ecco l’imponderabile, lo scherzo beffardo di un destino crudele capace di scartare ogni previsione.
Ma per la legge degli uomini una colpa ci deve essere. E la Procura della Repubblica di Bolzano, non fa eccezione. Da ieri otto persone sono finite sotto inchiesta con l’accusa di omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario. «Un atto dovuto per permettere agli indagati di presenziare alle perizie», spiega il capo dei pm Guido Rispoli. Nel frattempo è stata istituita una commissione, composta da tre professori universitari, per una consulenza tecnica che valuti le cause della frana e, in particolare, la situazione geologica e idraulica del terreno.
Due degli indagati sono i proprietari del terreno franato mentre gli altri sei ricoprono incarichi nella società che gestisce la fornitura d’acqua ai campi. «Persone che non sono da ritenersi colpevoli», puntualizza bonariamente la Procura. Dal canto suo il consorzio - in una nota a firma del presidente Lothar Burger, pure lui indagato - fa sapere che l’unico problema riscontrato nel frutteto da cui si è staccata la massa di terra si è verificato a causa «di una valvola guasta dalla quale tuttavia l’acqua non è fuoriuscita per più di un’ora e che la perdita è stata subito bloccata». «Non c’è stata rottura di tubi - prosegue la nota -, nella notte non c’è stata uscita di acqua e il terreno non è stato irrigato. Soltanto alle ore 8 circa quando è stata spento il sistema antigelo è uscita acqua ma si è immediatamente provveduto a chiudere le pompe». Insomma la piccola perdita sarebbe stata «al massimo la goccia che ha fatto traboccare il vaso». A quanto pare, però, qualcosa, non funzionava da tempo. «Nella zona già nel passato c’erano state infiltrazioni. Un guasto c’è stato - ammette Burger -, ma l’acqua eventualmente fuoriuscita non può, da sola, avere provocato lo smottamento».
Oggi tre periti della procura di Bolzano assieme ai tecnici nominati dagli indagati effettueranno un sopralluogo, mentre la linea resta per il momento sotto sequestro nel tratto tra Castelbello e Laces. I magistrati stavolta dovranno scavare indietro nel tempo, magari ripercorrendo il perché dei sì ai progetti di ferrovia su questa pendice di montagna da sempre considerata pericolosa. «Sino dagli anni ’20, quando furono posati i primi binari sul tracciato lungo il quale, cinque anni fa, è stata poi realizzata la moderna linea la situazione era costantemente monitorata - racconta il presidente del Consorzio -.

All’epoca tre addetti percorrevano la zona a piedi 24 ore su 24 per tenere sotto controllo le condizioni della massicciata». Oggi non più.
Uniche buone notizie arrivano dagli ospedali. Quindici dei ventotto feriti sono ancora ricoverati ma nessuno, fanno sapere i medici, in pericolo di vita.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica