Otto ragioni per non chiamarla Unione

da Roma

Duecentottantuno pagine, tredici capitoli per evidenziare e argomentare le tesi di undici partiti che si vogliono proporre come forza di governo. Il programma dell’Unione si può anche sintetizzare in questo modo, ma mettendo in parallelo proponimenti e dichiarazioni dei leader politici del centrosinistra emergono quelle profonde divergenze che nel corposo volume presentato sabato scorso al Teatro Eliseo si vorrebbero superare o quantomeno mascherare.
Ed è proprio questa situazione che il Giornale ha provato ad analizzare. A cominciare dai temi sociali, quelli che entrano nella vita di tutti i giorni, come unioni di fatto, scuola e immigrazione. Gli argomenti vedono delinearsi due anime della coalizione: una tipicamente progressista che vede con favore Pacs, abolizione dei Cpt e dei finanziamenti alla scuola privata e che annovera Rifondazione, Pdci, Rosa nel pugno e Verdi. L’altra, più moderata, comprende Ds (con distinguo), Margherita, Udeur e Italia dei Valori. La musica non cambia su altri temi scottanti come la presenza dei nostri militari in Irak o la legge elettorale. Per concludere con le questioni economiche, quelle che toccano le tasche dei cittadini.

Più grandi opere? L’anima ambientalista e movimentista non ne vuole proprio sapere così come sull’energia: solo gas e no al carbone e al nucleare. Per concludere con la legge Biagi: a buona parte della sinistra viene la pelle d’oca a sentire accostati «lavoro» e «flessibilità». Su un punto solo l’accordo c’è: mandare a casa Berlusconi.

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