«OVER THERE», VERE STORIE DI GUERRA

«OVER THERE», VERE STORIE DI GUERRA

È arrivato anche da noi Over There (canale satellitare Fox, domenica ore 23 e martedì in replica), fiction assai discussa negli Usa perché ha l'ardire di rappresentare sotto forma di «instant series» (l'equivalente televisivo degli «instant book») ciò che si sta verificando nella realtà: storie, vicende, paure, pensieri che hanno per protagonisti i soldati americani di stanza in Irak. La critica d'oltre oceano l'ha accolta con entusiasmo, magnificando regia, fotografia e sceneggiatura (asciutta senza una sbavatura, il pregio migliore). Meno bene l'hanno accolta i militari, non solo quelli di alto grado (come è prevedibile quando si mettono i piedi nel loro piatto) ma anche i soldati semplici, i reduci, chi la guerra da quelle parti l'ha conosciuta bene. Si sono letti giudizi severi al riguardo, tipo «è una serie opportunistica e non realistica», oppure «se le inesattezze che si vedono dovessero servire a non far conoscere al nemico le nostre vere tattiche, allora gli autori hanno fatto davvero un lavoro superbo». In effetti la fiction è stata girata con povertà di mezzi, si vede ad esempio qualche elicottero che sembra provenire da guerre precedenti. Lo ha ammesso lo stesso ideatore di Over There, il geniale Steven Bochco autore di telefilm di culto quali il Tenente Colombo e Nypd. Ma il valore e soprattutto il significato di una fiction del genere vanno al di là delle oggettive difficoltà di realizzazione, del resto compensate da un alto tasso di qualità cinematografica. Over There ha il pregio di farci vedere cosa succede alla guerra, e agli uomini che la combattono, quando la solitudine e la paura diventano più forti di tutto. Non è una fiction antiamericana e nemmeno un'opera semplicisticamente contro la guerra, è molto di più: è l'angosciante racconto della quotidianità di un conflitto che consuma la psiche prima ancora che il fisico, è la rappresentazione di come la guerra diventi tanto più insostenibile se la si mostra «nuda», priva di qualsiasi appiglio concettuale, retorico o strumentale che voglia giustificarla o condannarla secondo un ordine dialettico. La solitudine degli uomini davanti alla guerra, le loro paure più profonde, la loro indicibile nostalgia di normalità. Questo è, soprattutto, Over There.

Una serie che arriva sui nostri schermi proprio mentre si ha notizia che non se ne farà un seguito perché il pubblico americano le ha progressivamente voltato le spalle (l'audience è scesa dai 4 milioni e mezzo iniziali al milione e poco più della tredicesima e ultima puntata). Già è difficile per un Paese convivere a lungo con la realtà della guerra, figuriamoci ritrovarsela davanti sotto forma di fiction.

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