P3, il pg smentisce: "Non sentiremo il premier"

Berlusconi era stato tirato nuovamente in ballo nell’inchiesta sulla presunta loggia di magistrati dopo il "vedremo" pronunciato dal pm romano Capalbo. Martino aveva attribuito al Cavaliere lo pseudonimo. I dubbi del gup sulla testimonianza

P3, il pg smentisce: "Non sentiremo il premier"

Lo sentono, non lo sentono. No che non lo sentono. Silvio Berlusconi non verrà ascoltato dai pm di Roma che indagano sulla presunta associazione segreta, la cosiddetta P3. Il balletto si è chiuso con un comunicato firmato dal procuratore Giovanni Ferrara e dall’aggiunto Giancarlo Capaldo. Una nota che non lascia spazio a dubbi: «È priva di qualsiasi fondamento la notizia pubblicata oggi da alcuni quotidiani, secondo i quali sarebbe previsto l’interrogatorio di Silvio Berlusconi nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P3». Capitolo chiuso, almeno per il momento.

In verità, nel weekend voci e supposizioni sull’evocata audizione del premier si erano accavallati e davanti alle telecamere di La7 Capaldo se l’era cavata con un evasivo: «Vedremo». Una parola che molti avevano interpretato come un preannuncio di convocazione, anche se il capo dell’ufficio Ferrara aveva immediatamente preso le distanze con una dichiarazione tranchant: «L’ipotesi di ascoltare Berlusconi è assolutamente infondata». Insomma, negli uffici di piazzale Clodio si sono probabilmente misurate opinioni diverse, prontamente fatte filtrare e rilanciate dai media. Ora le parole ufficiali della procura mettono un primo punto fermo: Berlusconi non sarà chiamato a dare spiegazioni.

Nei giorni scorsi, alcuni quotidiani avevano pubblicato stralci dei verbali di uno dei tre arrestati, Arcangelo Martino, ammanettato l’8 luglio scorso insieme all’imprenditore Flavio Carboni e all’ex giudice tributario Pasquale Lombardi. Dopo quaranta giorni di cella, Martino, assessore al comune di Napoli negli anni Novanta, aveva raccontato che il Cesare citato nelle telefonate intercettate dai magistrati era lo pseudonimo con cui Carboni e Lombardi si riferivano a Silvio Berlusconi e il vice Cesare era Marcello Dell’Utri, pure indagato.
Era Berlusconi dunque, per Martino, il Cesare da contattare, informare, coinvolgere nelle frenetiche, e a dire il vero inconcludenti, manovre della P3. «Un’ipotesi oltre che inveritiera ridicola», secondo l’avvocato Niccolò Ghedini, legale del premier. Certo, la triade Lombardi-Martino-Carboni organizzava convegni, aveva rapporti con esponenti di primo piano della magistratura e del mondo politico, si dava da fare in molte direzioni, ma al dunque faceva buchi nell’acqua un po’ ovunque. E millantava scenari che puntualmente non si realizzavano. Addirittura Lombardi, il più attivo del terzetto, aveva prefigurato una Consulta favorevole al Lodo Alfano, poi bocciato e fatto a pezzi dalla Consulta. Sempre Martino si considerava l’artefice di nomine strategiche a capo di delicatissimi uffici giudiziari italiani, come quella di Alfonso Marra alla corte d’appello di Milano. Marra era stato regolarmente votato dal Csm, ma il megalomane Lombardi, fra una riunione e una telefonata, faceva presto ad attribuirsi quel che non era suo. Un paio di volte alla settimana sbarcava a Roma per le riunioni; «Al mercoledì - aggiunge Martino - gli amici si ritrovavano al ristorante da Tullio» dove Martino assicura di aver visto, fra gli altri, il deputato Udc, ex Pd, Renzo Lusetti, il capo degli ispettori del Ministero della giustizia Arcibaldo Miller e il sottosegretario Giacomo Caliendo.

Caliendo, chiamato in causa per l’ennesima volta, smentisce: «Non sono mai stato a pranzo da Tullio con Carboni, ci sono stato alcune volte con magistrati, amici e colleghi, ma mai con Carboni che ho visto una sola volta a casa di Verdini». Si tratta del famoso pranzo del settembre 2009 in cui si parlò del Lodo Alfano e si immaginò un finale favorevole al premier. Previsione totalmente sbagliata. «Ma - aggiunge Caliendo - non ero presente quando si sarebbe discusso del Lodo perché ero andato via prima». Più o meno le stesse parole che Caliendo aveva già pronunciato questa estate quando l’opposizione aveva presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti, poi respinta dal Parlamento.

La pubblicazione dei verbali di Martino sembrava preludere a un interrogatorio eccellente, ma così non è. E anzi, Ferrara e Capaldo stigmatizzano la pubblicazione dei verbali di Martino da parte di alcuni quotidiani e promettono un’inchiesta per dare un nome alla talpa. Martino, intanto, resta in cella. La procura dopo le sue rivelazioni aveva dato parere favorevole alla concessone degli arresti domiciliari ma il giudice delle indagini preliminari Giovanni De Donato ha risposto con un no. Secondo il gip, Martino ha svolto un discorso «solo parzialmente veritiero».

Martino «ha chiaramente eluso il proprio ruolo effettivo, affermando quasi un ruolo inconsapevole, quasi strumentalizzato cinicamente da Lombardi. Dall’indagine - afferma il gip - emerge invece un ruolo direttivo del Martino e del Carboni sul Lombardi».

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