«La pace non muore, ma con loro non trattiamo»

Più dura Condoleezza Rice: necessario riconoscere il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. E Hillary Clinton chiede che continui la «scomunica» dei violenti

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Rapida, ferma, sbigottita, ambigua. Questa la prima reazione di Washington alla «sorpresa» elettorale palestinese. Una sorpresa che tale non è stata per molti, soprattutto per gli esperti americani del Medio Oriente. Anche a Washington è durata per qualche ora l’incertezza causata dal divario, difficilmente spiegabile con la sola inesperienza tecnica, tra le indicazioni degli exit-poll e l’accumularsi dei voti conteggiati. C’è cascato anche un organo autorevole come il Wall Street Journal, che ha titolato «Al Fatah sopravvive all’attacco di Hamas». George Bush ha dedicato al terremoto due sole risposte nella sua conferenza stampa alla Casa Bianca, ciascuna delle quali coerente con la sua impostazione anche se un po’ difficili da conciliare, non per sua colpa ma perché son difficili da conciliare i fatti. Il presidente ha riconosciuto che hanno vinto gli estremisti e che il risultato è negativo. Tuttavia ha ribadito la sua valutazione positiva nel «carattere democratico e pacifico delle elezioni di ieri, che sono state una sveglia per la vecchia guardia della leadership palestinese: da chi governa la gente vuole servizi, efficienza, onestà». Ha ribadito che l’America «non tratterà mai con chi vuole distruggere Israele», ma ha aggiunto che «la pace non è mai morta» e che resta la speranza che i palestinesi e gli israeliani «vivano l’uno accanto all’altro in sistemi democratici, ciascuno al sicuro all’interno dei propri confini». Tutto può ancora succedere, dunque, e molto dipenderà proprio da Hamas. Bush non ha mai citato, nelle sue dichiarazioni, l’organizzazione per nome, ma è evidente a chi si riferiva quando ha ribadito che «non si può essere partner di pace se si ha un programma di distruzione e di violenza». Gli Stati Uniti continuano ad appoggiare il presidente Abu Mazen, che rimane in carica a prescindere dall’esito delle elezioni parlamentari, ha auspicato che il premier dimissionario continui per ora a esercitare le sue funzioni ed ha aggiunto che «seguiremo da vicino la formazione del governo».
Bush considera dunque la vittoria di Hamas come una pessima notizia ma non come un motivo per considerare fallita l’opera di mediazione americana. Più specifica è stata Condoleezza Rice, in un discorso trasmesso in collegamento video al World Economic Forum di Davos. Il segretario di Stato ha parlato della Palestina a lungo, associandosi naturalmente alla valutazione ambivalente della Casa Bianca: hanno vinto i più scomodi, i più sospetti, quelli dal passato terroristico e dal presente tuttora inaccettabile, ma «il popolo palestinese ha votato per il cambiamento, l’aspirazione alla pace resta invariata e così la migliore via da seguire, che è quella del consolidamento di due Stati in Palestina». La Rice è apparsa però più severa del presidente nel porre condizioni a Hamas e nel metterlo di fronte alle sue contraddizioni: «Chi chiede la distruzione di Israele non può essere un suo interlocutore anche se ha ricevuto un mandato elettorale. Non ci può essere un processo di pace se uno dei contraenti non accetta il diritto all’esistenza della controparte. I prossimi giorni della settimana dovranno fare maggiore chiarezza su questi principi. A cominciare da coloro che hanno avuto la fiducia dei palestinesi e dunque debbono avere il coraggio di compiere scelte, anche difficili».
Cautela nella fermezza dunque, o fermezza nella cautela. Ma è un equilibrio difficile e più difficile sarà nelle prossime settimane e giorni, perché l’amministrazione Usa subirà inevitabilmente i contraccolpi dell’opinione pubblica interna e internazionale. Già hanno rialzato la testa i democratici, con il più probabile candidato alla Casa Bianca nel 2008, Hillary Clinton: «Finché Hamas non rinuncerà alla violenza, al terrorismo e al suo proposito di distruggere Israele, non credo che gli Stati Uniti e gli altri Paesi del mondo dovrebbero riconoscerla come forza di governo». È un incitamento a che l’amministrazione ribadisca la «scomunica» nei confronti del movimento integralista, che è stata assoluta fino a poco tempo fa ma che si è ammorbidita nei toni da quando è stato deciso, anche da parte del governo di Israele, che Hamas poteva partecipare alle elezioni. Un invito alla cautela potrebbe giungere invece proprio dal settore politico Usa che alberga i più influenti fra i «falchi».

I neoconservatori, infatti, sono sì intransigenti nemici dell’estremismo, soprattutto nel Medio Oriente, ma debbono anche difendere il loro articolo di fede secondo cui la migliore medicina è la democrazia, a cominciare da libere elezioni. Che però hanno visto crescere i Fratelli Musulmani in Egitto, un estremista eletto presidente iraniano e adesso il successo di Hamas.

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