Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Rapida, ferma, sbigottita, ambigua. Questa la prima reazione di Washington alla «sorpresa» elettorale palestinese. Una sorpresa che tale non è stata per molti, soprattutto per gli esperti americani del Medio Oriente. Anche a Washington è durata per qualche ora lincertezza causata dal divario, difficilmente spiegabile con la sola inesperienza tecnica, tra le indicazioni degli exit-poll e laccumularsi dei voti conteggiati. Cè cascato anche un organo autorevole come il Wall Street Journal, che ha titolato «Al Fatah sopravvive allattacco di Hamas». George Bush ha dedicato al terremoto due sole risposte nella sua conferenza stampa alla Casa Bianca, ciascuna delle quali coerente con la sua impostazione anche se un po difficili da conciliare, non per sua colpa ma perché son difficili da conciliare i fatti. Il presidente ha riconosciuto che hanno vinto gli estremisti e che il risultato è negativo. Tuttavia ha ribadito la sua valutazione positiva nel «carattere democratico e pacifico delle elezioni di ieri, che sono state una sveglia per la vecchia guardia della leadership palestinese: da chi governa la gente vuole servizi, efficienza, onestà». Ha ribadito che lAmerica «non tratterà mai con chi vuole distruggere Israele», ma ha aggiunto che «la pace non è mai morta» e che resta la speranza che i palestinesi e gli israeliani «vivano luno accanto allaltro in sistemi democratici, ciascuno al sicuro allinterno dei propri confini». Tutto può ancora succedere, dunque, e molto dipenderà proprio da Hamas. Bush non ha mai citato, nelle sue dichiarazioni, lorganizzazione per nome, ma è evidente a chi si riferiva quando ha ribadito che «non si può essere partner di pace se si ha un programma di distruzione e di violenza». Gli Stati Uniti continuano ad appoggiare il presidente Abu Mazen, che rimane in carica a prescindere dallesito delle elezioni parlamentari, ha auspicato che il premier dimissionario continui per ora a esercitare le sue funzioni ed ha aggiunto che «seguiremo da vicino la formazione del governo».
Bush considera dunque la vittoria di Hamas come una pessima notizia ma non come un motivo per considerare fallita lopera di mediazione americana. Più specifica è stata Condoleezza Rice, in un discorso trasmesso in collegamento video al World Economic Forum di Davos. Il segretario di Stato ha parlato della Palestina a lungo, associandosi naturalmente alla valutazione ambivalente della Casa Bianca: hanno vinto i più scomodi, i più sospetti, quelli dal passato terroristico e dal presente tuttora inaccettabile, ma «il popolo palestinese ha votato per il cambiamento, laspirazione alla pace resta invariata e così la migliore via da seguire, che è quella del consolidamento di due Stati in Palestina». La Rice è apparsa però più severa del presidente nel porre condizioni a Hamas e nel metterlo di fronte alle sue contraddizioni: «Chi chiede la distruzione di Israele non può essere un suo interlocutore anche se ha ricevuto un mandato elettorale. Non ci può essere un processo di pace se uno dei contraenti non accetta il diritto allesistenza della controparte. I prossimi giorni della settimana dovranno fare maggiore chiarezza su questi principi. A cominciare da coloro che hanno avuto la fiducia dei palestinesi e dunque debbono avere il coraggio di compiere scelte, anche difficili».
Cautela nella fermezza dunque, o fermezza nella cautela. Ma è un equilibrio difficile e più difficile sarà nelle prossime settimane e giorni, perché lamministrazione Usa subirà inevitabilmente i contraccolpi dellopinione pubblica interna e internazionale. Già hanno rialzato la testa i democratici, con il più probabile candidato alla Casa Bianca nel 2008, Hillary Clinton: «Finché Hamas non rinuncerà alla violenza, al terrorismo e al suo proposito di distruggere Israele, non credo che gli Stati Uniti e gli altri Paesi del mondo dovrebbero riconoscerla come forza di governo». È un incitamento a che lamministrazione ribadisca la «scomunica» nei confronti del movimento integralista, che è stata assoluta fino a poco tempo fa ma che si è ammorbidita nei toni da quando è stato deciso, anche da parte del governo di Israele, che Hamas poteva partecipare alle elezioni. Un invito alla cautela potrebbe giungere invece proprio dal settore politico Usa che alberga i più influenti fra i «falchi».
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