Olmert e Abu Mazen si sono incontrati ieri nellex casino di Jerico, la stravagante invenzione ludica del processo di pace. Israeliani e palestinesi la notte ammassavano Mercedes e Subaru nel cortile della costruzione bianca messa su alla meglio alle porte della città più antica del mondo e salivano fra camerieri con le scarpe a punta a giocare alla roulette e alla pace prima che Arafat scatenasse lIntifada del terrorismo suicida. Adesso si gioca solo alla pace, con Olmert che cerca sullo sfondo della boiserie rossa il negoziatore Saeb Erakhat per ringraziarlo dellottimo pranzo preparato da sua moglie: con Abu Mazen sia a quattro occhi che alla presenza di altri si è parlato di armi, di prigionieri da liberare, di territori, di Gerusalemme. Si cerca laccordo definitivo per portarlo a novembre al summit di Washington. Le buone intenzioni di tutto il mondo, che tiene per Abu Mazen e per una versione edulcorata del piano saudita che prevede il riconoscimento di Israele in cambio dei territori del 67 sono come una nebbia luminosa intorno ai colloqui. A novembre Bush vuole al contempo uno schieramento di Paesi Arabi «moderati» e la pace fra Israele e almeno i palestinesi buoni di Abu Mazen. Ma ci sono motivi per non basare le proprie aspettative solo sui nostri piani e sulla bontà delle intenzioni. È stato sempre il limite del «realismo» in politica internazionale: la realtà è variabile, improvvisa e molteplice specie in Medio Oriente.
Chi avrebbe detto, ieri, che Arafat sarebbe velocemente morto di una malattia fulminante? Che Hamas avrebbe afferrato tutto il potere in metà dellAutorità palestinese? Chi avrebbe previsto che in Turchia, bastione kemalista, lislamismo avrebbe trionfato? Che la Siria dopo la morte di Assad padre, invece di mostrare una faccia più urbana si sarebbe armata fino ai denti con laiuto degli iraniani e dei russi, che da summit terroristi avrebbe minacciato di nuovo, così presto, il Libano per interposta persona (gli hezbollah)? Chi, che lIran avrebbe messo le mani sul conflitto israelo-palestinese tramite Hamas e Hezbollah, che avrebbe preso a ossessionare il mondo intero in preda a uneccitazione atomica guidata da raptus messianico e antisemita? Che il mondo sarebbe stato tormentato dal fenomeno del terrorismo in maniera tanto primaria e pervasiva? Chi avrebbe mai detto che sciiti e sunniti avrebbero, almeno in certi casi, stretto alleanze robuste? Che tutta lestatica fase degli accordi di Oslo avrebbe portato la valanga del terrorismo suicida?
Ieri, ricordando la roulette e le slot machine in frenetica attività nel 2000, a notte alta, non si poteva evitare un pensiero: prudenza.
A Washington verrà lArabia Saudita e la seguiranno i Paesi del Golfo: i sauditi di fronte alla vendita di 400miliardi di armi americane che la proteggeranno dalleventuale costo con lIran, deve pur fare qualche cosa per ringraziare gli Usa specie poiché laccusano di promuovere lazione di terroristi ben armati in Irak. Ma i sauditi usano verso lislamismo due atteggiamenti: basta guardare allIrak, allambiguo atteggiamento verso Hamas, o lappoggio al wahabismo estremista nelle madrasse di tutto il mondo. Tutti desideriamo che si formi quel fronte moderato che crei la possibilità di fermare il terrorismo iraniano senza implicarci in scontri e guerre; e in più, costruendo per i palestinesi uno Stato accanto a Israele. Ma non è facile che questo accada, perché lo jihadismo è molto robusto e ben sostenuto, basta pensare quanto è facile che possa vincere persino in Libano, e come la Turchia è tentata da unalleanza con lIran, di cui si vedono i segni. Quanto alla carta che imprudentemente viene giuocata come centrale, se per esempio Abu Mazen non fermerà i suoi terroristi, cadrà il programma finale proposto in segreto da Shimon Peres e già sul tavolo di Olmert e di Abu Mazen: il cento per cento dei territori occupati anche se in parte in forma di «swap» nel Negev o nellambito delle zone arabo-israeliane. Intanto, Gaza al sud impedisce luso di territori nel Negev: finirebbero in mano a Hamas. E gli arabi israeliani hanno già detto che non ci pensano neppure ad accettare di passare allAutorità. Quel che è peggio, Abu Mazen non acquista forza, anche con gli 800 milioni di dollari in armi che Condi ha dato ai palestinesi, anche con i prigionieri liberati e i check point sollevati. Troppi palestinesi non credono in lui. Solo un quarto dei 180 ricercati che Israele ha cessato dal perseguire in cambio della promessa di consegnare i kalashnikov, lo ha fatto. Solo la metà delle Brigate di Al Aqsa hanno dato o hanno intenzione di dare (a caro prezzo, pare fino a 15mila dollari a kalashnikov) allAutorità i loro fucili. Il primo ministro Salam Fayyad ha detto che «le forze di sicurezza dellAP non sono in grado di imporre lordine nel West Bank», e lo ha ripetuto anche il suo ministro degli Interni, Abd al Razek al Yihia. Ieri su Al Hayat Al Jadida Hafez Bargouti racconta coraggiosamente che se il rais si sposta in auto, la sua scorta, fatta da milizie prepotenti e selvagge, investe persone e cose circostanti; che i gruppi della «sicurezza» torturano i fermati o prendono denaro per non farlo: che Fatah non sta affatto conquistando benevolenza, e che quindi anche nel West Bank Hamas va forte. Abu Mazen può perdere, anche se nessuno lo auspica, finché non si decide a usare la mano forte. Anche la commissione dinchiesta incaricata di spiegare gli errori che hanno portato alla sconfitta con Hamas, non ha osato mettere sotto accusa i veri responsabili, accontentandosi di personaggi minori e non pericolosi: resta intatta la piramide e cresce così lammirazione per il terrore jihadista. Anche se Israele deciderà a novembre di accettare in tutto e per tutto le richieste internazionali, questo sarà utile alla pace? O non ne risulterà invece che i gruppi estremisti vedranno nelle concessioni prossime venture un incitamento allo scontro? Intanto, non bisogna dimenticarlo, la pressione esterna allo scontro è fortissima, lIran è in casa, con lui gli hezbollah e la Siria.
Fiamma Nirenstein
www.fiammanirenstein.com