Guai a parlare di resa dei conti allinterno del centrodestra veneto, guai a evocare lo spettro della litigiosità tra Popolo della libertà e Carroccio. Ma è soltanto questione di tempo. Il dato choc di questa tornata elettorale è il sorpasso leghista sul Pdl in Regione. Se ne parla da anni. Alle politiche del 2008 i padani avevano sfiorato lobiettivo per ottomila voti. Alle europee del 2009 il Pdl aveva raddoppiato gli sforzi e rimpolpato il vantaggio: 29 per cento contro 28. Ma il governatore Giancarlo Galan sentiva il fiato sul collo. La Lega aveva aperto le ostilità in quella campagna elettorale, Umberto Bossi premeva su Silvio Berlusconi. Pochi giorni prima del voto europeo, il premier aveva garantito che il candidato governatore del Veneto sarebbe andato al partito che avesse conquistato un voto più dellaltro.
Aveva prevalso il Pdl, ma Galan non si era sentito tranquillizzato nella corsa verso il quarto mandato. «Avevo avvertito avvisaglie che le cose si mettevano male nella primavera di un anno fa», ha ripetuto ancora ieri al Corriere della Sera. Da un anno tutti, nel centrodestra, hanno ripetuto che non esiste una «questione sorpasso». Invece esisteva, eccome. Ieri Galan ha detto: «Queste elezioni regionali si sono trasformate in una competizione tra Lega e Pdl, con il sorpasso del Carroccio garantito: bisogna vedere se sarà contenuto al 4-5 per cento o arriverà all8-9. Unipotesi, questultima, catastrofica». Visto che il divario supererà il 10 per cento e la Lega in alcune province supererà il 35 per cento come la Dc dei vecchi tempi, la catastrofe è diventata unapocalisse?
La sede della Lega Veneta a Villorba, periferia di Treviso lontana dagli angoli più ameni di questi territori, è stata un brulicare di gente fino a notte. A sera i papà vi hanno portato i figli orfani della scuola mostrando i poster verdeggianti con la faccia sorridente e i capelli imbrillantinati di Luca Zaia: «Lo vedi? È proprio lui, quello che ha vinto». Da Montebelluna, quartier generale di Remo Sernagiotto, capogruppo del Pdl in consiglio regionale, arrivano invece foto di festeggiamenti a tono ridotto: una decina di persone attorno a un tavolo che brindano ad aranciata in bicchieri di carta. Mentre nella sede regionale del Pdl, zona industriale di Padova, vengono contati più giornalisti che politici.
Nel Pdl sono rintanati a leccarsi le ferite. Quale sia il clima, lo si intuisce dallintervista di Galan. Si coglie la tensione dal fatto che lormai ex governatore ha parlato a urne aperte, senza aspettare il martedì per togliersi i sassolini dalle scarpe. Per lui il Veneto è stato «venduto». «Speravo di passare il testimone a uno degli assessori del Pdl che meglio hanno lavorato in questi anni, Chisso o Gava». E poi laffondo: «Se a queste elezioni il centrodestra può attestarsi attorno al 60 per cento, un po di merito mi sembra di averlo. Ma nessuno, tra i veneti che contano a Roma del mio partito, ha inteso dirmi grazie».
La stoccata è diretta ai due ministri Maurizio Sacconi e Renato Brunetta, soprattutto al primo. Il Pdl non ha dato grande dimostrazione di compattezza. E il balletto sul futuro di Galan (ministro? e di quale dicastero? oppure presidente di qualche grande società pubblica tipo Enel?) non ha aiutato. Secondo voci maligne fatte circolare in campagna elettorale, qualche grande elettore pidiellino avrebbe chiamato amici e parenti in Piemonte invitandoli a votare Mercedes Bresso: avesse vinto lei, il candidato leghista Roberto Cota avrebbe preso il posto di Zaia al ministero dellAgricoltura stroncando le aspettative di Galan. Cattiverie gratuite. Ma il solo fatto che circolino liberamente dà la misura di un'aria avvelenata.
Dallalto del suo trionfo, Luca Zaia non ha infierito sugli alleati. «Il sorpasso non cambia nulla nei rapporti con Pdl e Alleanza di centro - ha ripetuto -, tutto è basato sulla lealtà che sta alla base del programma condiviso». Ha definito «una fandonia» il doppio incarico governatore-ministro. La conferma delle imminenti dimissioni dal dicastero («Bossi ha detto che resterò il referente della Lega per lagricoltura, me ne occupo dal 1995») suona come un segnale distensivo ribadito da Bossi: «Nessun veto su Galan, non siamo così carogna».
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