Padoa-Schioppa ora vuole nuovi ticket sulla Sanità

Il responsabile dell’Economia: «Deficit-pil, no Ue al rientro dopo il 2007». Il ds Vanni replica al Wwf che vuol far chiudere il cantiere del Mose: «Ci costerebbe 15 milioni di euro»

Gian Maria De Francesco

da Roma

«La compartecipazione alla spesa sanitaria è una misura che esiste già in alcune Regioni ed è perfettamente contemplabile». Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ieri in audizione dinanzi alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, ha sostanzialmente confermato l’orientamento favorevole all’imposizione di nuovi ticket per il ripianamento del deficit sanitario degli enti locali.
Si tratta di una misura anticipata qualche settimana fa dal ministro della Salute, Livia Turco. Tra i provvedimenti allo studio la possibilità per le Regioni di fissare nuove forme di contribuzione alle degenze ospedaliere per i pazienti con redditi medio-alti. Padoa-Schioppa ha tuttavia giustificato il ricorso ai ticket sottolineando che «sarebbe di estrema gravità ridurre i livelli di assistenza sanitaria», una vera e propria «umiliazione per il Paese».
Il ministro ha poi ammesso che con il decreto Bersani i cittadini dovranno fare sacrifici. La manovrina, ha affermato, è «un intervento importante: è vero che è più sul lato delle entrate, farlo sul lato della spesa è quasi impossibile». Ma perché non agire energicamente sulle spese? «Avrebbe voluto dire - ha aggiunto - ridurre gli stipendi o bloccare le opere in corso da un giorno all’altro». Anzi se la correzione dei conti pubblici stimata per il 2006 è solo di 0,1 punti percentuali di Pil è perché «si è dovuto destinare i tre quarti dell’intervento ad altri capitoli di spesa». Di qui la necessità di una nuova mazzata sulle spalle della middle class.
La Commissione Ue, ha precisato Padoa-Schioppa, non vuol saperne di rinviare il rientro del deficit-pil italiano sotto il 3% dopo il 2007. Quindi lacrime e sangue. «Ho trovato le porte chiuse a Bruxelles», ha ammesso il ministro che pure in un forum pubblicato da Repubblica lunedì scorso aveva accennato alla possibilità di discutere dell’opzione-rinvio dopo il varo della Finanziaria.
Insomma, a senatori e deputati è stato proposto il solito catalogo di buone intenzioni. «La lotta all’evasione fiscale è fondamentale e mi aspetto un risultato notevole», ha detto Padoa-Schioppa aggiungendo che «si può puntare a un tasso di crescita annuale del pil al 2% e sarei felice se arrivasse al 3». E a Daniela Santanché di An che gli contestava la titolarità di un ministero dimezzato con competenze spartite tra il viceministro Visco e il ministro dello Sviluppo Bersani, Padoa-Schioppa ha ribattuto con un «non avverto questo rischio».
Ma nella maggioranza gli scricchiolii hanno continuato a farsi sentire. Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero del Prc (l’unico astenuto in Consiglio dei ministri sul Dpef, ndr), ha ribadito di non concordare «sulla necessità di tagliare la spesa pubblica, in particolare le pensioni». Il risanamento, secondo Ferrero, «non si può concentrare in una sola Finanziaria». Il ministro si riferiva alle sollecitazioni rivolte lunedì dal governatore di Bankitalia Mario Draghi. Ma i veri destinatari del messaggio si possono individuare in Prodi e Padoa-Schioppa. E da Treviso il direttore generale di Confindustria, Maurizio Beretta, ha sostenuto che «sia assolutamente da escludere qualsiasi ipotesi di aumento delle aliquote». Il governo si trova così tra due fuochi e ben presto dovrà scegliere il male minore.
Non certo incoraggianti le prospettive sul fronte opere pubbliche. A Venezia gli ambientalisti del Wwf e della Lipu hanno chiesto al ministro Pecoraro Scanio la sospensione dei lavori. Valter Vanni del direttivo veneto dei Ds ha subito ammonito gli oltranzisti.

«Le imprese appaltatrici - ha detto - potrebbero iniziare ricorsi per almeno 15 milioni di euro». Padoa-Schioppa e il ministro delle Infrastrutture Di Pietro (che ieri sera si sono recati da Prodi) lo sanno bene. Ma non tutta la coalizione la pensa allo stesso modo.

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