Risse, accoltellamenti e spaccio di droga. Importanti sì, ma non quanto «l’iniziativa economica individuale che va salvaguardata». È con questa motivazione che il Tar ha ridotto al minimo la chiusura obbligatoria per un locale, il Mybali, in via Padova 13 per il quale il questore di Milano aveva imposto i sigilli per 180 giorni. Dalla pena massima di 6 mesi a quella minima, 30 giorni. In mezzo un ricorso proposto dal titolare della discoteca, Gamal Saker, e una sentenza del Tribunale amministrativo regionale. Secondo la questura il locale è «pericoloso per l’ordine pubblico e per la sicurezza dei cittadini». La relazione della polizia è dettagliata e fa riferimento a una «molteplicità di episodi» nei quali le forze dell’ordine sono state costrette a intervenire per sedare risse e violenze.
Il personale dell’Ufficio prevenzione generale, il 17 gennaio 2010, alle ore 5.30, era intervenuto a causa di una lite tra più persone; la rissa si era sviluppata tra il personale della sicurezza del locale e alcuni avventori. Uno dei dipendenti del locale aveva colpito alla testa un cliente e, a sua volta, uno degli addetti alla sicurezza aveva subito una lesione alla fronte; nelle adiacenze del locale gli agenti avevano trovato cocci di bottiglia, un manganello telescopico, un cric, una chiave per bulloni, quattro mazze di legno che venivano poste sotto sequestro. Nel provvedimento la polizia segnala anche che, in occasione di un precedente controllo del 15 gennaio 2010, gli agenti avevano rinvenuto a terra della cocaina. E non era la prima volta. Tanto che «già in passato il locale è stato oggetto di interventi delle forze dell’ordine a causa di episodi di violenza», scrive il questore. Siamo a poche settimane prima dei tafferugli tra nordafricani e sudamericani che metteranno a ferro e fuoco il quartiere. La situazione di via Padova è difficile da gestire, tanto che il questore decide di mettere i sigilli al locale per 6 mesi, in quanto «luogo abitualmente frequentato da persone pregiudicate e pericolose». Ma secondo il Tar il provvedimento risulta «sproporzionato». In pratica «una così prolungata interdizione dall’esercizio di attività di impresa (ben sei mesi), sarebbe di per sé idonea ad arrecare un pregiudizio irreparabile alla sua prosecuzione (pure esso rilevante per la ordinata convivenza sociale)» si legge nella motivazione della sentenza. Il locale insomma con una chiusura forzata di 180 giorni sarebbe destinato al fallimento.
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