
«Sono qui. Tu dove sei? Non ti vedo mi aveva scritto Maria. Ero salito sul sagrato, ma anche da lì non riuscivo a scorgerla. Era colpa mia, sbagliavo. Per un riflesso condizionato la cercavo tra gli studenti del liceo, come avevo fatto nei cinque anni precedenti, quando capitava che andassi a prenderla».
Direi che lo aspettavo al varco e con molta ansia, il nuovo romanzo di Piersandro Pallavicini, intitolato Il mondo di Maria, edito da Mondandori (pagg. 276, euro 19,50), e quando dico con una certa ansia intendo vera e propria ansia, perché ne avevamo parlato al telefono quando era in fase di scrittura e già mi saliva un'angoscia terribile. Sebbene avessi saputo che Piersandro avrebbe trasformato tutto questo in una commedia, una commedia amara come sa fare lui, ma comunque una commedia pressoché per tutti, tranne per chi non è traumatizzato come me da tutto ciò che cambia, che si modifica, che ti fa pensare alla morte, che per gli altri, per i normali, è un motivo di gioia, di «felicità» addirittura, mentre io come Doctor House penso che mi accontento di ridurre al minimo l'infelicità. («Ma non ti rende felice tua figlia?» mi chiedono spesso. «Certo» mento, e invece penso: se non esistesse la morte).
Vi parlo di questo perché il tema centrale del nuovo romanzo di Pallavicini è il rapporto di un padre, Gil, con sua figlia ventenne, quella che lui definisce la ragione della sua vita. Non c'è scontro generazionale, anzi nel protagonista, che è un padre illuminato, c'è un'accettazione dei ricambi generazionali, una saggia rassegnazione. Una moglie sempre in giro per lavoro a Bruxelles, riflessioni sulle battaglie ideologiche di sé stesso padre al confronto con quelle di sua figlia Maria, e una storia che Pallavicini maneggia splendidamente virandola, come ho detto, in una commedia malinconica. Fatto sta che è uno dei suoi romanzi che mi ha devastato di più, a ogni pagina. Perché mi sono immedesimato troppo, perché mi immedesimavo in me stesso ancor prima di leggere Pallavicini.
Maria che diventa adulta all'improvviso, con i suoi gusti, con i suoi desideri, con un mondo che a Gil pare sempre più imperscrutabile eppure non rinuncia a volerci capire qualcosa, non si sogna minimamente di condannarlo, vi assiste come un paziente che sta per essere operato e osserva tutti i ferri chirurgici con un misto di curiosità e orrore, ma trasformando l'orrore in sit-com, cosa di cui io, da scrittore, non sarei mai capace, non su cose che mi toccano così da vicino.
Il tempo, c'è molto tempo, nel nuovo romanzo di Piersandro. Quel tempo che, quando come in questo caso hai una figlia che adori e che ami, vedi accelerare improvvisamente: il giorno prima è una bambina che aiuti a fare i compiti, il giorno dopo una ragazza che incontra altri ragazzi da sola, si impegna per le battaglie per il gender fluid e contro il patriarcato, forse nasconde qualcosa, forse no, ma molto probabilmente sì, perché non è più una bambina, è una ragazza, e Gil, il padre, lui stesso per lei spesso e volentieri è fonte di imbarazzo. «Si era trasformata per metà in una Signorina snob aggiornata al nuovo millennio e per l'altra metà in una fanatica che progettava nei minimi dettagli l'outfit del giorno, con scatti d'ira furibonda se mi ero dimenticato di ritirarle uno dei capi prescelti in lavanderia». Pur essendo da Maria amatissimo, sebbene Maria ignori il baratro che sta vivendo Gil, che Pallavicini trasforma in umorismo con quegli incontri surreali a cui ci ha abituato negli altri romanzi.
Un momento che a voi sembrerà banale, comune, per me è straziante: Gil che dice a Maria, che sta andando via a festeggiare con le sue amiche: «Buon anno topolina», come l'aveva sempre chiamata prima, come i nomignoli che ogni padre ha per sua figlia, e lei che non risponde, ma «a Pavia, non appena avevo riaccompagnato le altre ed ero ripartito verso casa, mi aveva detto questo: Non mi chiamare mai più in quel modo davanti alle mie amiche».
C'è autobiografia? Sì, molta, e non solo quella di Piersandro, uno dei migliori scrittori in circolazione, ma anche la mia (d'altra parte anche con il precedente, Il figlio del direttore, scoprimmo di aver avuto la stessa infanzia e la stessa adolescenza di trasferimenti essendo entrambi figli di direttori di banca). La figlia di Gil ha la stessa età della figlia di Piersandro, che sarà l'età che avrà mia figlia tra non tantissimi anni. Maria è una figlia come altre, Gil un padre speciale, come lo è Piersandro: trasforma la sofferenza in commedia, gli anni che accelerano in un romanzo dove si ride tanto. Gil e Sandro in fondo sono come Cliff, il papà dei Robinson (prima che Bill Cosby diventasse uno stupratore, che trauma per noi che siamo cresciuti con lui).
Voi lettori vi divertirete molto e vi farà pensare. Per me leggere Il mondo di Maria è stato bello e lo consiglio a tutti, ma anche terribile, perché non sarò capace di vivere la cosa inevitabile come ha fatto Gil e anche il magnifico scrittore Pallavicini, tra i pochi italiani che ammiro.
Cioè vivere ogni passaggio dall'infanzia all'adolescenza all'età adulta come se non fosse una tragedia, anche perché io lo sto già facendo da quando mia figlia aveva otto anni, e non c'è soluzione. «È la vita» ti ripetono a pappagallo i retorici della vita. Per me la vita è Xanax come se piovesse.