Una perplessità, però, era quantomeno legittima. Perché quella panca in prima fila, nella chiesa di Santa Maria Assunta, ai funerali di sabato scorso, ci aveva colpito. Con i genitori e il fratello minore di Chiara che avevano voluto in mezzo a loro, quasi a stringerlo in un abbraccio protettivo, Alberto Stasi, il fidanzato della figlia uccisa. Lo stesso che aveva trovato il corpo di Chiara, lo stesso che era uscito senza una macchia da quella scena da macelleria, lo stesso che gli inquirenti avevano interrogato tutta la notte, per otto ore filate.
Eppure loro - papà Giuseppe e mamma Rita - lo avevano voluto lì, come un altro figlio, come a voler chiudere ogni bocca malevola, come a voler incenerire sul nascere ogni occhiata indagatoria, come a voler scacciare ogni minimo sospetto dai pensieri degli altri. E chissà, forse anche dai loro, come sarebbe stato umanamente comprensibile. E si è rivelato sforzo inutile, ieri, tentare di chiedergli se quella invidiabile sicurezza fosse rimasta intatta anche dopo la consegna ad Alberto di un avviso di garanzia, atto giudiziario che comunque non equivale di certo a una condanna. Trincerati in casa di parenti, e sommersi dal loro immenso quanto dignitosissimo dolore, hanno comprensibilmente rifiutato ogni contatto con la stampa.
Ma nemmeno Garlasco sembra voler emettere condanne affrettate nei confronti di questo ragazzo biondo e incredibilmente pallido che un’ex compagna di scuola e di zingarate adolescenziali di gruppo ricorda come «insicuro, quasi impacciato nei movimenti, più che timido come ha detto qualcuno. E tuttavia uno che se aveva qualcosa da dire la diceva», aggiunge. Comunque il paese è compatto. «Noi personalmente non ci crediamo ancora che possa essere stato quel ragazzo e così la pensano tutti gli avventori», assicurano autorevolmente da dietro il banco del Caffè Gobbi, radar nonché snodo obbligato della vita locale. Piuttosto c’è chi si è chiesto se Chiara, magari per via del suo lavoro a Milano, avesse conosciuto qualcuno e gli avesse dato il numero di telefono o addirittura l’indirizzo. Ma chi la conosceva bene ci ha stragiurato che no, che Chiara no, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Forse su qualche altro nome finito alla ribalta - ammettono - qualcuno un dubbio lo ha avuto, ma su quel ragazzo proprio no. Nessun dubbio, e quindi nessuna perplessità nemmeno per la sua presenza sul banco della chiesa accanto ai genitori di Chiara.
Non ha del resto risposte nemmeno il parroco, don Giorgio Amiotti. «Mi fa paura emettere giudizi su chi purtroppo conosco molto poco - ammette allargando le braccia -. Gli Stasi perché si sono trasferiti qui da pochi anni, i Poggi perché gravitano più su Gropello Cairoli, il paese vicino.
So che qualcuno ha voluto interpretare a proprio modo il mio mancato abbraccio durante la Messa ad Alberto e alle cugine di Chiara, ma così facendo ho voluto solo sottolineare che il peso e il dolore, per me celebrante, erano in quel momento soprattutto quelli della famiglia. E l’ho fatto anche proprio per evitare di indurre a pensare a una mia qualsiasi riserva mentale in merito». Ma anche don Giorgio, attento curatore delle 9.207 anime di Garlasco, conferma la sensazione diffusa in chi sta seguendo da giorni questa brutta storia. E cioè che il paese «si sia come chiuso a riccio, con un atteggiamento che non è di omertà - che di certo non ci appartiene - ma piuttosto di pudore di scoprire qualcosa». Che cosa, padre? «Qualcosa che non vorremmo mai trovarci in casa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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