Pagliarini va a Destra «Con Storace potrò fare il leghista»

L’ex ministro: «Ho scoperto che sono federalisti, la Lega invece ha dimenticato la sua battaglia»

Pagliarini va a Destra «Con Storace potrò fare il leghista»

da Roma

Pronto? È l’ex ministro Pagliarini?
«Scusi un attimo, sono in macchina... ».
Prego.
«Aspetti, eh... Se invece di usare le tasse dei milanesi per pagare le pensioni dei siciliani il Comune si preoccupasse di fare qualche parcheggio in più... ».
Allora è ancora un federalista convinto?
«E perché non dovrei?».
Ha annunciato la sua adesione a La Destra di Storace...
«A dirla tutta ho annunciato l’adesione del mio movimento, La Destra per la riforma federale, a quello di Storace».
Che fa, minimizza?
«Assolutamente. Se si andasse a elezioni ci presenteremo sotto un solo simbolo. Ma guardi che ho scoperto che qui a Milano i fuoriusciti di An sono fortemente federalisti. Ho letto le proposte che porta avanti Carla De Albertis e sono rimasto stupito».
Insomma, la sua battaglia riprende da Storace?
«Più che riprende, direi che continua. E comunque per me non è importante con chi sto, ma dove vado. Se Bertinotti decide di sposare la mia causa, sono pronto a discutere anche con lui... ».
E Storace le sposa?
«È stata Daniela Santanchè a chiamarmi, un mesetto fa. Dice: “Vediamoci per fare due chiacchiere”. E io ho subito messo le mani avanti: “Ma io posso darvi un contributo solo come componente federalista... ”. Sa cosa ha risposto?».
Dica.
«“Altro che componente, noi vogliamo fare la rivoluzione federalista”. Bene, allora proviamoci».
Pagliarini, dunque, non solo non è più leghista. Ma è pure in un altro partito.
«Sbagliato. Pagliarini fa il leghista fuori dalla Lega. Che da tempo ha dimenticato la questione del federalismo, quello fiscale in testa. L’ultimo congresso della Lombarda si è concluso con Leoni che dissertava sulla celebrazione della messa con rito ambrosiano o rito romano. Gli auguro di fare la messa che vogliono... ».
Non vi siete lasciati bene...
«Me ne sono andato a malincuore ma con affetto. Gli auguro tutto il bene possibile perché per me sono stati una grande famiglia. E ho ancora ottimi rapporti con molti di loro».
Per esempio?
«Con la base. Pensi che ancora oggi c’è una sezione del Carroccio in un mio locale in via Plinio. E pagano un affitto simbolico, 200-300 euro a trimestre. La dimostrazione che non c’è alcun rancore. Davvero».
Dicono che è andato via perché non l’hanno ricandidata?
«Una cazzata. Ho ancora la mail che mandai a Bossi in cui gli chiedevo “per favore” di non farlo».
Perché?
«Perché nel programma della Cdl non c’era alcun riferimento al federalismo. E infatti non abbiamo ottenuto un tubo... D’altra parte, era già da un po’ che Bossi nei suoi comizi parlava solo di presepi. Non che non mi piacciano, però... ».
Ricomincia con Storace.
«Mi sono venuti a cercare, significa che il vecchio “Paglia” non aveva tutti i torti».
L’ha convinta davvero l’apertura federalista?
«Assolutamente, io sono una persona cristallina».
Così scrisse Montanelli nel ’94 quando fu nominato ministro del Bilancio del primo governo Berlusconi e cedette a soci e dipendenti le sue 16 società di revisione.
«Ne vado fiero ancora oggi».
Torniamo a La Destra.
«Ammetto che li consideravo statalisti. Poi ho letto i documenti della De Albertis e mi sembrava lo statuto della Catalogna».
Si è ricreduto.
«Hanno accolto un mio documento in dieci punti sul federalismo. Una sintesi della costituzione svizzera».
E prevede?
«Che ogni regione abbia la sua fiscalità. Con due sole tasse nazionali: una per pagare i servizi dello Stato, una di solidarietà. Quest’ultima, però, da gestirsi secondo principi rigorosi. Si deve calcolare il Pil medio pro capite (ma in base all’effettivo potere d’acquisto e non al valore nominale) e solo chi è sotto la media prende il contributo. Il resto delle entrate le regioni se le gestiscono come credono a seconda delle loro esigenze».
Lo Statuto della Destra l’ha letto?
«Tutto.

E ho trovato alcune cose interessanti».
Per esempio?
«All’articolo 17 si dice che il segretario non è rieleggibile per più di due mandati».
Ce l’ha con Bossi?
«In Italia di politicamente immortali ne abbiamo tanti, da Fini a Pannella».

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