Gianluca Pagliuca, 41 anni compiuti, 592 partite in A, ma vuole davvero arrivare a 600?
«Ci manca poco, ma se la Lazio non dovesse prendere Carrizo, allora entrerei in gioco anch’io e, con la maglia biancoceleste, potrei andare ben oltre le 600 gare (ma potrebbe anche fare il vice di Doni nella Roma, ndr)».
Quindi, dopo l’ultima partita giocata in febbraio con l’Ascoli, lei potrebbe essere già pronto a giocare anche in serie A?
«Mi ero preso due mesi sabbatici, in estate avevo anche pensato di smettere, ma poi la maledetta nostalgia del pallone ha avuto il sopravvento e ho ripreso ad allenarmi giornalmente come se fossi in un club di A. E poi, guardandomi intorno, scorrendo i nomi di portieri attuali mi sono chiesto: possibile che non ci sia posto per uno che ha perso un mondiale per un rigore e la Champions per due minuti di troppo?».
Se l’è cercata, caro Pagliuca, ci dica allora perché non nascono più grandi portieri italiani, Buffon escluso ovviamente.
«Probabilmente è un fatto generazionale. Di buoni ce ne sono: Amelia, il bresciano Viviano, Marchetti dell’Albinoleffe, lo stesso Frey, che io considero come italiano perché è venuto da noi a 18 anni e per 6 mesi ha fatto il mio secondo. Il fatto è che quelli di casa nostra costano troppo, meglio andarli a prendere all’estero spendendo la metà. Peccato, perché di buoni preparatori di portieri qui ce ne sono tanti, ma manca il materiale».
Che può dirci di un certo Gianluigi Buffon?
«Era già il più forte da un paio di stagioni, ma dopo il mondiale, ha trovato la sicurezza e la consapevolezza di essere il più grande di tutti. Ecco perché attualmente non ha rivali nel mondo».
E il povero Dida, che è diventato un caso umano?
«Il milanista non è tranquillo, si sente gli occhi addosso e, per questo, commette errori madornali. E più sei condizionato, più sbagli e perdi anche la fiducia dei compagni. Giocando con l’Inter e il Milan, dalla critica non ti viene perdonato niente; lo so bene io che ho vinto solo una coppa Uefa nei miei cinque anni in nerazzurro. E avrebbero potuto essere di più se non fosse arrivato Lippi col suo pupillo Peruzzi».
Su Frey si è già espresso.
«Posso aggiungere che Sebastien era già bello vispo e sveglio allora. Adesso, a 27 anni, ha un’esperienza maggiore rispetto alla sua età, proprio come Buffon».
Avanti con i brasiliani Julio Cesar e Doni.
«Lo ammetto, ero scettico sulle qualità dei due. Poi invece ho dovuto ricredermi, sono cresciuti molto e in particolare Julio Cesar, gli manca poco per raggiungere Buffon, forse una maggior determinazione nelle uscite».
Visto che i migliori arrivano dall’estero, chi sono allora i più forti in Europa?
«Lo spagnolo Casillas; guarda caso un altro brasiliano, Gomes del Psv Eindhoven e il polacco del Celtic, Boruc che piace tanto al Milan».
E pensare che in luglio si era parlato di un ritorno di Pagliuca nell’Inter come possibile secondo di Julio Cesar.
«Se Toldo se ne fosse andato, pur di tornare nell’Inter, la squadra del mio cuore, avrei fatto Bologna-Milano a piedi. Mentre invece non potrei mai giocare nel Milan o nella Juventus. E poi a Milano avrei trovato il Mancio, al quale mi lega un rapporto di grande amicizia, ci siamo anche sentiti subito dopo il derby. E sono contento per lui perché è bravo e fortunato: ha superato momenti di difficoltà, poi ha cominciato a vincere e ora voglio proprio vedere chi riesce a fermarlo. Ma bravo anche il presidente Moratti che l’ha capito e aiutato. Ora l’Inter può davvero aprire un ciclo. Ma deve vincere la Champions, a cominciare da quest’anno».
Scusi Pagliuca, ma non era la Sampdoria la sua squadra del cuore?
«In blucerchiato sono stato da re, uno scudetto vinto, tanti amici, un grande presidente come Mantovani. Ma non posso perdonare i tifosi che quando sono tornato come avversario me ne hanno dette di tutti i colori. A Milano invece, quando ero con Bologna e Ascoli, sono stato solo applaudito».
Ha parlato della bravura di Mancini, ma quali allenatori nella sua carriera ricorda più di altri?
«Mazzone, Boskov e Simoni: tre grandi, con loro ho avuto un gran rapporto. L’ultimo, Sonetti, lasciamo perdere».
Scudetto già dell’Inter allora?
«I nerazzurri possono solo perderlo per colpa loro.
Ma va ancora allo stadio?
«Quest’anno ho visto soltanto due partite del Bologna, vado invece con mio figlio Mattia a tifare Virtus nel basket. Ma in campo voglio tornarci presto, eccome».
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