«Per Un paio d’ali mi fece una corte spietata»

Massimo Bertarelli

«Questa notizia mi ha sconvolto, mi scusi se piango... Ma per me è proprio un grande dolore. Mi mancherà tanto Pietro. Mi mancherà il suo augurio per San Giovanni».
Cara Giovanna Ralli, qual era questo augurio così speciale?
«Ogni anno, il 24 giugno, per il mio onomastico mi mandava una pianta. Ne ho ancora una di camelie».
Gli era tanto affezionata?
«Tantissimo. Gli devo tutto».
Con lui ha debuttato a teatro...
«Sì, con lui e Giovannini, in Un paio d’ali. Era il 1957, mi sembra impossibile che sia già passato mezzo secolo. Fu la svolta della mia carriera».
Una commedia musicale, un salto nel buio...
«Altroché. Sul palcoscenico ero salita a dodici o tredici anni in una particina nel Piccolo caffè con Peppino De Filippo. Forse dicevo una battuta. Poi solo cinema».
Dove, a vent’anni era già una star...
«Be’, me la cavavo. Proprio nel ’57 avevo girato Il momento più bello, con Mastroianni, che mi fece vincere la Grolla d’oro. Fu Alida Valli a consegnarmela. Garinei e Giovannini mi telefonarono per convincermi a fare un Paio d’ali con Rascel. Ma non me la sentivo. Dovevo cantare e ballare e non sapevo fare né questo né quello».
Poi che cosa successe?
«Tutte le sere, sotto casa c’era l’amministratore della compagnia: “Non puoi tirarti indietro, G&G la parte di Sgargamella l’hanno scritta per te”. Alla fine cedetti».
Chissà che fifa...
«Pazzesca. Al debutto mi tremavano le gambe. Se non mi spingeva in scena Giovannini ero ancora lì».
Lei era così giovane...
«Infatti venne mia madre con me a Milano. La sera nel nostro residence, il Cavalieri, cucinava le polpette per Garinei e Giovannini, che ne erano ghiotti. Erano sempre da noi a cena dopo lo spettacolo».
Fu un trionfo...
«Al Sistina veniva giù il teatro quando ballavo il rock and roll. Due anni dopo Domenica è sempre domenica, parole di Sandro e Pietro, musica di Kramer, divenne la sigla del Musichiere».
Poi con G&G fece anche prosa...
«Sì, Fra un anno alla stessa ora al Manzoni di Milano, accanto a Enrico Maria Salerno. Era il 1977. Subito dopo Giovannini morì. Nel cuore mi era rimasta la commedia musicale. Garinei dieci anni dopo me ne propose una con Bramieri, Anche i banchieri hanno un’anima, ma Gino purtroppo era già malato. Pietro mi raccomandava: “Quando vai a trovarlo in clinica, non fargli capire che sta male”. Più tardi pensò di affiancarmi Banfi, ma non se ne fece niente».
Senta, quando ha visto Garinei l’ultima volta?
«Pochi mesi fa, era sempre al suo studio al Sistina. Molto dimagrito».
Vi sentivate?
«Spessissimo. Lui era molto goloso di cioccolato. Io gli mandavo scatole di cioccolatini. E Pietro mi pregava ridendo: “Mandameli senza zucchero”. Era un gioco...».


Erano molto diversi Garinei e Giovannini?
«Sandro era il poeta; Pietro curava più la parte tecnica, ma lavoravano sempre in coppia, due autori straordinari. Molto esigenti: dagli attori volevano il massimo, perché il pubblico doveva avere il massimo. Ma io ancora oggi non riesco a scindere l’uno dall’altro».

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