Il Pakistan vacilla A rischio tutta la strategia di Obama

È allarme rosso per il Pakistan, nazione chiave dell’Asia centrale: da quando Barack Obama, illustrando la sua nuova strategia per l’Afghanistan, ha evocato l’incubo di una Al Qaida che riesce a prendere il controllo del Paese - dotato di un arsenale nucleare di almeno cinquanta bombe - la situazione non ha fatto che peggiorare. La collaborazione di Islamabad nella lotta contro i talebani è più che mai essenziale, ma il presidente Asif Ali Zardari e il suo governo filoamericano stanno vacillando sotto i colpi incrociati della Corte suprema, degli alti comandi dell’esercito e dei servizi segreti e di una stampa pressoché unanime nell’opporsi alla collaborazione con Washington. La Consulta ha appena annullato l’amnistia per i reati di corruzione promulgata dall’ex leader Pervez Musharraf, che due anni fa aveva permesso allo stesso Zardari e a molti suoi uomini di rientrare in patria e partecipare alle elezioni, con il risultato che i ministri dell’Interno e della Difesa e il capo di gabinetto del presidente si sono visti ritirare il passaporto e dovranno comparire davanti a un tribunale. I militari, insofferenti delle pressioni americane per un’offensiva più risoluta contro Al Qaida e i suoi alleati, annidati nelle cosiddette zone tribali lungo il confine con l’Afghanistan, stanno intensificando la loro fronda. I giornali, dal canto loro, sostengono che nel combattere i talebani, potenziali alleati nel perenne conflitto con l’India, il Pakistan agisce contro i propri interessi.
Per ora Zardari, che è il vedovo di quella Benazir Bhutto assassinata due anni fa, sembra deciso a resistere all’invito a dimettersi che gli arriva da tutte le parti, ma nessuno sa quanto riuscirà a resistere. Il problema è che, senza l’eliminazione dei «santuari» dove i talebani si addestrano, pianificano gli attacchi e si ritirano a missione compiuta la guerra afghana non potrà mai essere vinta. Un mese fa, Obama ha mandato ai pachistani una specie di ultimatum - o vi date una mossa, o dovremo provvedere noi - ma per tutta risposta l’esercito ha cominciato a infierire sul personale statunitense che opera nel Paese, al punto da compromettere il buon funzionamento dell’ambasciata. La Cia ha allora intensificato le incursioni dei Predator, gli aerei senza pilota capaci di identificare e colpire con i missili i leader nemici, che anche la settimana scorsa sono riusciti a uccidere alcuni colonnelli di Osama Bin Laden. Ma queste operazioni, che spesso provocano vittime nella popolazione civile, finiscono con l’alimentare l’antiamericanismo della popolazione e rendere l’alleanza più precaria.
Intanto il Paese è scosso quasi quotidianamente da attentati dinamitardi, spesso contro bersagli ultraprotetti come i grandi alberghi e le sedi della polizia. Ultimamente gli ultraislamisti hanno risposto all’offensiva lanciata contro di loro nelle province di Swat e del South Waziristan portando gli attacchi dei loro kamikaze fin nel cuore del Paese.

Dall’Afghanistan, le forze alleate seguono questi sviluppi con sgomento: basterebbe che, magari con la complicità di qualche militare, gli estremisti arrivassero a impadronirsi anche di un solo ordigno nucleare perché si aprisse una nuova, terribile partita.

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