Il paladino delle toghe che non si fidava della loro obiettività

Due carriere per pm e giudici, due Csm o, molto più prosaicamente, due forni? Michele Giuseppe Vietti cambia idea sulla riforma della giustizia in base al ruolo che ricopre. Adesso che è tornato dopo dieci anni a Palazzo de’ Marescialli, non più consigliere laico in quota Forza Italia-Udc come 15 anni fa ma vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura, tanto per chiarire il suo ruolo di garanzia, ha tuonato: «Sono assolutamente contrario alla prospettiva di separare le carriere di Pm e giudici e di creare due Csm distinti».
Eppure da sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Berlusconi, come riporta un’agenzia Ansa del 25 ottobre 2001, Vietti era di tutt’altro avviso: «La terzietà del giudice non è garantita quando è possibile per un pm passare da una parte all’altra del banco e diventare giudicante laddove è stato inquirente». L’accorata presa di posizione non era ovviamente una difesa del «suo» premier di allora, ma di «quell’articolo 111 della Costituzione che impone la terzietà del giudice». E a chi chiedeva al sottosegretario Vietti di scegliere tra la separazione dei «ruoli» di pm e giudice o delle rispettive «funzioni» il centrista rispondeva democristianamente: «Non mi impiccherei sulle formule».
Con l’Anm, che da sempre associa la spaccatura tra le carriere alla fine della loro indipendenza, oggi Vietti concorda su tutto. Ma solo 8 anni fa, sempre da sottosegretario, lamentava che certe proteste dei magistrati in difesa della loro indipendenza fossero addirittura esagerate: «Considero inopportuno che si protesti disertando l’inaugurazione dell’anno giudiziario - diceva il 14 gennaio del 2003 - chi collega automaticamente il concetto di separazione delle carriere con l’attentato all’autonomia e all’indipendenza della magistratura è in malafede».
Complice il lento scollamento tra Udc e Berlusconi, Michele Giuseppe Vietti si è via via ammorbidito. Nel 2004 disse al Corriere della Sera di essere «pregiudizialmente contrario» alla separazione delle carriere ma di essere pronto a ragionare su «una legge costituzionale per il doppio Csm», un suo vecchio pallino. Nel 2008 Vietti dice ancora «no» alla separazione delle carriere per poi, 12 mesi dopo, dichiarare al Messaggero la sua idea: un Csm «orfano» della sezione disciplinare dei magistrati in favore di «un’alta Corte esterna formato da autorevoli componenti designati equamente da magistrati, Parlamento e Quirinale».

Ma guai a parlare di carriere separate «per non creare nei pm - è il 26 novembre scorso - un corpo separato ed autoreferenziale». In fondo, come dice Vietti, perché impiccarsi alle formule? O peggio ancora, ai forni?
felice.manti@ilgiornale.it

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